Mafie

‘Ndrangheta, il pentito di Aemilia: “La cosca usò fondi umanitari con l’aiuto di un faccendiere e senatrice centrodestra”

Nel corso dell'udienza del processo per i delitti del 1992 in Emilia Romagna, il collaboratore di giustizia a sorpresa ha parlato di "un sistema che si appoggiava a un garante venezuelano". Contro di lui, intervenendo in videoconferenza dal carcere di Opera a Milano, si è scagliato il boss Nicolino Grande Aracri: "Di suo non sa niente, non è genuino né imparziale"

“La ‘ndrangheta a Reggio Emilia si infiltrò anche nei progetti umanitari rivolti a Paesi esteri in via di sviluppo”. L’accusa è del pentito Antonio Valerio che, rispondendo agli avvocati difensori nel controinterrogatorio del processo per gli omicidi del 1992 a Reggio Emilia, ha parlato di “un sistema” che si appoggiava ad un garante venezuelano capace di accedere ai finanziamenti e ad un fiduciario milanese che gestiva una Fondazione umanitaria americana nelle quali confluivano i soldi. E non solo: per Valerio la ‘ndrangheta operò grazie anche all’aiuto di una senatrice che li aveva messi in collegamento con alcuni faccendieri coinvolti nell’affare. Alla domanda di che partito fosse, il collaboratore di giustizia ha risposto: “Forse di Forza Italia, di sicuro del centrodestra”. Ma “questi fatti sono mai stati affrontati in un’Aula di tribunale?”, hanno chiesto. “Ancora no”, la replica di Valerio.

Nell’udienza di venerdì 17 maggio, Valerio ha risposto in video conferenza da un luogo protetto. Pochi minuti dopo, sempre in videoconferenza dal carcere di Opera a Milano, lo ha attacco in diretta il capocosca Nicolino Grande Aracri. “Non si è mai visto”, ha detto il boss “che un collaboratore di giustizia possa parlare consultando le carte sparse sul tavolo e utilizzando il telefonino per ricevere messaggi e per seguire in diretta su Facebook lo sviluppo delle udienze anche quando i giudici gli chiudono il collegamento per esigenze di riservatezza”.

La tensione è stata molto alta in Corte d’Assise e oggetto del confronto non sono state solo le dinamiche dei due omicidi Vasapollo e Ruggiero per i quali sono alla sbarra quattro personaggi importanti delle cosche cutresi: lo stesso Grande Aracri, Renato Le Rose, Antonio Ciampà e Lino Greco. La deposizione di Valerio si è soffermata sul numero di omicidi commessi da Nicolino Grande Aracri e ha confermato che, stando alle confessioni dirette del capo e a quanto saputo dai suoi più stretti collaboratori, il numero oscilla tra i settanta e i cento. Uomini di mafia delle famiglie nemiche nei paesi del crotonese, testimoni scomodi, vittime della resa dei conti a Reggio Emilia e Mantova durante gli anni Novanta. In questo contesto si è sviluppata la lotta a distanza tra Nicolino Grande Aracri e Antonio Valerio. Il primo nella sua dichiarazione spontanea ha puntato deciso sulla non attendibilità del collaboratore: “Di suo non sa niente, non è genuino né imparziale. E’ un bugiardo che si è solo studiato i verbali di quell’altro bugiardo di collaboratore che è Angelo Salvatore Cortese”. Il secondo ha replicato attaccando la cosca e il suo capo di Cutro a 360 gradi. Lo fa, dice, “perché vorrei che le mie parole fossero utili per spingere altri ‘ndranghetisti a ravvedersi”.