Il 22 aprile 2011 il corpo di Vittorio Arrigoni rientra in Italia. Sono in tanti ad attenderlo ma nessun rappresentante di governo. Peccato.
Eppure Vittorio dedica la vita agli altri, anzi la sacrifica. Era un pacifista e prima delle colpe voleva fermare le violenze. E’ in Palestina che Vittorio trova la morte, a 36 anni, rapito da quattro palestinesi comandati da un giordano. Ucciso da palestinesi? Rapito sì, morto senz’altro, circostanze oscure, ipotesi e mandanti. Ma non tutti i palestinesi sono cattivi.
Si muore “davvero” quando ti dimenticano, per questo Vittorio è vivo, grazie soprattutto a Egidia, donna coraggiosa come solo una madre sa essere e la Fondazione Vittorio Arrigoni che ne onora la memoria. Presente quel “Restiamo Umani”? Son parole sue, le ha scritte lui prima di ogni altro, in quei giorni dell’operazione militare israeliana “Piombo Fuso” (27 dicembre 2008-18 gennaio 2009, oltre 1.500 palestinesi uccisi, più di 4mila palestinesi feriti, 13 israeliani morti), da sotto le bombe sganciate da Israele sulla Striscia di Gaza (ma non tutti gli israeliani son cattivi). Le scrive perché in quei giorni vive il baratro umano, abisso in cui l’odio genera vendetta e istruisce i bambini al male, anche se il fondo in cui scendono la rabbia e la cattiveria umane non è fatto di solo questo. L’essere umano è pieno di sfumature e l’odio e la vendetta sono parte dell’essere umano, come lo sono la pace e la tolleranza; ma la civiltà è solo di chi sa restare umano.
Vittorio in quei giorni, sotto le bombe al fosforo e tra la polvere, tra la vista di cani randagi che si cibano dei corpi che i cecchini israeliani non consentono di recuperare, fra gli arti amputati in fretta (anche se sarebbero salvabili) per le trasfusioni urgenti a vite altrimenti spacciate, racconta al mondo il peggio e il meglio dell’essere umano. Quelle parole sarebbero diventate patrimonio di tutti. Sono parole sue, nel senso che per primo le ha scritte e mai avrebbe voluto che ne avessimo bisogno. Ma son di tutti, oggi più che mai. Ed è facile pronunciarle, scriverle, rilanciarle, usarle e abusarne, farne un “marchio di fabbrica”, uno slogan che a volte sa di niente e a volte dice tutto. Curioso, è tanto facile dirle come sembra difficile dire il suo nome: Vittorio Arrigoni. Ogni volta che diciamo o scriviamo “Restiamo umani” diciamo o scriviamo Vittorio Arrigoni. Sui lenzuoli appesi alle finestre c’è il suo nome attraverso le sue parole ormai nostre, nell’Italia che alza la voce, negli italiani che restano umani, alla faccia degli italiani che sfamano la rabbia tifando per l’odio.
Vittorio Arrigoni va detto e scritto. Mi manca non “vederlo” pronunciato, perché c’è un ‘Italia che non è tutta razzista e nemmeno nera di nostalgia. Nemmeno gli italiani son tutti cattivi, giusto Vittorio?