“Aula Magna Benedetto XVI”. La scritta campeggia dorata sul legno che riveste l’ambiente, austero e solenne. Una presenza remota, ma che aleggia incombente sulla scena che si svolge subito sotto. E’ il 27 ottobre, Matteo Salvini parla alla Pontificia Università Urbaniana: “Stamattina ho avuto la conferma che sulla carta di identità elettronica torneranno le due paroline che a qualcuno non piacciono, ovvero mamma e papà al posto di Genitore 1 e genitore 2″, annuncia trionfante. Balsamo per le orecchie dell’uditorio, che lascia partire uno scroscio di applausi. Gioca in casa, Salvini: si celebra il Premio Giuseppe Sciacca, organizzato ogni anno dall’omonima fondazione in onore di “tante giovani eccellenze provenienti da tutto il mondo”. Dietro alle spalle del vicepremier, dal tavolo dei relatori spunta uno zucchetto rosso: è quello di Raymond Leo Burke, cardinale statunitense che presiede la onlus. Nel cui organigramma i vertici della Lega si mescolano a militari, monarchici ed estrema destra. Tutti insieme in una fondazione che gravita nell’universo dell’ultra-conservatorismo anti-Bergoglio incarnato dal rosario tenuto tra le mani dal segretario leghista domenica in piazza Duomo ed è guidata da un uomo che ha un solo obiettivo: costringere alle dimissioni Papa Francesco e ipotecarne la successione con un candidato gradito all’ultradestra cattolica americana.
Da via Urbano VIII piazza San Pietro è a un tiro di schioppo: il Palazzo Apostolico dal quale Francesco si affaccia la domenica è ben visibile dalla terrazza dell’università che da alcuni anni ospita il premio. Il papa argentino era il convitato di pietra domenica a Milano: era il destinatario della selva di fischi levatasi dalla piazza sovranista quando Salvini lo ha nominato rispondendo ai suoi rilievi sulla politica leghista in tema di migranti. Dal 5 luglio 2018 il leader del Carroccio è il “presidente del Comitato scientifico” della fondazione e Giancarlo Giorgetti è il suo vice. Sotto lo “scudo sannitico” con la croce bianca simbolo dell’istituzione prestano la loro opera illustri esponenti della nobiltà che fu. C’è Sua eccellenza Principe Don Flavio Borghese, presenza fissa al premio. Il 7 novembre 2015, il fotografo lo immortalava mentre consegnava il Premio Cultura a George Pell, cardinale ex Prefetto della Segreteria per l’Economia, presidente d’Onore della Fondazione nel 2016, condannato in Australia per pedofilia. Classe 1971, già Head of Finance & Markets del Monte dei Paschi di Siena dove ha lavorato per oltre 7 anni, Borghese è Head of Portfolio Management della Cassa Depositi e Prestiti, è il delegato per Roma e la Città del Vaticano dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio ma è anche il pronipote di Junio Valerio, organizzatore dell’omonimo golpe e fondatore del Fronte Nazionale e già comandante della X Mas, il cui vessillo campeggia tra le foto postate dal giovane Flavio su Facebook.
Quell’anno a premiare Pell c’era anche un altro membro dell’Ordine Costantiniano, il Principe Don Sforza Ruspoli. Classe 1927, simbolo di quell’italica monarchia che non accenna a piegarsi all’estinzione nonostante l’avvento della Repubblica e il passare dei decenni, “Lillio” è “Agricoltore, Ambasciatore, Banchiere” e figura “tra i fondatori della Destra italiana”, recita la biografia sul suo sito – dove compare in foto con una carrellata di personaggi che va da Joseph Ratzinger a Karol Wojtyla, dal presidente brasiliano Lula al fu governatore di ultradestra della Carinzia Jorge Haider all’ex leader del Front National Jean Marie Le Pen – e nel 1989 era stato eletto in Consiglio Comunale a Roma con il Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale.
Un humus politico e culturale che lega la onlus all’Associazione Internazionale di Cultura e Volontariato “Uomo e Società”, che ha con la prima un rapporto osmotico e condivide molti dirigenti tra cui il presidente Don Bruno Lima. Nella gallery sul sito spiccano l’intitolazione di una strada di Viterbo ai martiri delle foibe e tra i soci onorari spicca il nome di Augusto Sinagra, tessera 2234 della P2, storico avvocato di Licio Gelli e dei colonnelli vicini al dittatore argentino Jorge Rafael Videla, nonché autore di un volume sul “Venerabile” per Altaforte, la società editrice che ha pubblicato il libro-intervista di Salvini, e candidato con Casapound alle politiche del 2018. E poi ancora, anche qui monarchici, ex missini (Biagio Tempesta, ex sindaco dell’Aquila cresciuto nel Movimento Sociale di cui è stato dirigente anche Mauro Febbo, assessore regionale in Abruzzo alle Attività produttive), ex esponenti del Fronte universitario d’azione nazionale (Nicola Cristaldi, ex presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana) e neo-salviniani (Luigi Di Luzio, consigliere della Lega all’Aquila).
Nobili, ma anche militari sotto le insegne della fondazione. Ci sono Gennaro Vecchione, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza; Vittorio Rizzi, vice capo della Polizia e direttore della Criminalpol; il generale Gioacchino Angeloni, comandante regionale della Guardia di finanza della Sardegna; il generale di brigata dei Carabinieri Mario Giambrone, vicedirettore della Scuola di Perfezionamento delle Forze Polizia; e il comandante del raggruppamento autonomo del ministero della Difesa, maggior generale Gerardo Restaino. Ma anche Giancarlo Anselmino, direttore generale dell’Agenzia industrie difesa, e Ettore Gotti Tedeschi, banchiere legatissimo a Benedetto XVI che lo aveva chiamato alla guida dello Ior, la Banca vaticana.
Al vertice c’è lui: “Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Raymond Leo Burke”, capo riconosciuto delle legioni di nemici che Francesco si è fatto, a Roma e non solo. Sua è l’opposizione alle aperture del pontefice ai divorziati risposati, già durante il primo dei due Sinodi sulla famiglia, nel 2014. Suo è il manifesto, condiviso da altri tre cardinali, nel quale si accusa il Papa di essere eretico per le aperture espresse nell’esortazione apostolica post sinodale Amoris laetitia. Un’opposizione dichiarata che si è intensificata dopo che Bergoglio ha defenestrato il porporato dal ruolo di prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, la “Cassazione vaticana”, confinandolo all’incarico onorifico di patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta. Dove Burke ha creato non pochi problemi al Papa, che lo ha commissariato sostituendolo con il cardinale Giovanni Angelo Becciu.
Tra Salvini e Burke l’amicizia risale a prima delle politiche del 4 marzo. Per due volte il leader della Lega era stato in visita a casa del cardinale statunitense, a Roma, in via Rusticucci 13, a due passi da piazza San Pietro. Visite che avevano destato un certo stupore negli ambienti vaticani. Da un lato il principale oppositore di Francesco nel Collegio cardinalizio. Dall’altro il politico italiano che già al raduno di Pontida del 2016, si era fatto fotografare con in mano la maglietta con su scritto “Il mio Papa è Benedetto”. Un gesto rimasto indigesto all’interno del Vaticano e della Cei. Ma Salvini non si era fermato: “Papa Benedetto aveva idee molto precise sull’islam. Quelli che invitano gli imam in chiesa non mi piacciono”. E ancora: “Io sono fermo a qualche tempo fa, a Papa Ratzinger”. Uno slogan che interpreta il sentire comune di diversi ambienti della destra e dell’ultradestra, che vedono in Bergoglio poco più che un prete di strada che diffonde un catechismo terzomondista e un pontefice di caratura inferiore al cospetto della sottile e sconfinata sapienza teologica incarnata da Benedetto.
Tra i due c’è un punto di contatto che allarga la prospettiva al di là dell’Atlantico: Steve Bannon. Nell’orbita dell’ex stratega di Donald Trump gravita l’ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò, che ha intrapreso una campagna mediatica contro Francesco accusandolo di aver coperto la pedofilia, in particolare quella commessa dall’ex cardinale di Washington, Theodore Edgar McCarrick, spretato dal Papa proprio per gli abusi sessuali su minori. Viganò è arrivato perfino a chiedere le dimissioni di Bergoglio reo, a suo giudizio, di aver chiesto tolleranza zero nel contrasto alla pedofilia del clero e poi di essere stato lui stesso un insabbiatore. Accuse che si sono rivelate infondate ma che sono piaciute molto all’ala dell’ultradestra cattolica americana, di cui Burke è uno dei massimi esponenti, che ha infatti preso subito sotto la sua protezione Viganò, oggi rifugiato negli Stati Uniti e sostenuto dagli oppositori più aggressivi del pontificato di Francesco.
L’ex nunzio non ha mai incontrato Salvini, a differenza di Bannon che ha manovrato per attirare il vicepremier nella galassia del suo The Movement in vista delle elezioni europee con l’obiettivo di creare un fronte sovranista in grado di riunire tutti i populisti del vecchio continente. Dal 2014 Bannon collabora con l’Istituto Dignitas Humanae, un’organizzazione, presieduta da Burke, fondata nel 2008 per “proteggere e promuovere la dignità umana sulla base della verità antropologica che l’uomo è nato a immagine e somiglianza di Dio”. Ovvero contrastare le aperture di Francesco in favore di divorziati risposati e omosessuali. Ma soprattutto con lo scopo di preparare una classe di cattolici ultraconservatori in vista del conclave che dovrà eleggere il successore di Bergoglio.
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