di Annalisa Rosiello* e Monica Serra**
Le nuove forme di lavoro, i turni anche tardo-serali e notturni, i luoghi di lavoro periferici espongono potenzialmente le donne a rischi molto severi, stante lo svolgimento del lavoro in locali ormai vuoti e/o i momenti di isolamento, anche nel tragitto casa-lavoro: si pensi, per fare solo alcuni esempi, alle addette di imprese di pulizia, che lavorano quando gli uffici sono già chiusi e il personale è andato già a casa; oppure alle addette ai call center che svolgono l’ultimo turno. Inoltre, se la prestazione viene resa in regime di appalto, le lavoratrici restano al costante contatto con personale anche di differenti imprese, con conseguente, possibile “interferenzialità” e moltiplicazione dei vari rischi, inclusi quelli legati alle molestie e alle molestie sessuali.
Il Testo Unico 81/2008 precisa all’art. 28 che i rischi da valutarsi sono “tutti” quelli che si profilano non necessariamente a causa dell’attività lavorativa, ma che si occasionano durante l’attività lavorativa, come appunto la violenza, le discriminazioni e le molestie (ad esempio, raggiungere un parcheggio in orario tardo-serale e notturno espone evidentemente a un rischio di aggressione, che sussiste proprio in ragione della prestazione resa di notte), e devono essere valutati e contrastati adeguatamente “ovunque” l’attività venga resa. Ancora, il datore di lavoro deve effettuare la valutazione dei rischi sulla base di quelli “potenzialmente presenti” e, soprattutto, la valutazione dei rischi non può essere generica, così come non possono essere generiche le relative misure di prevenzione individuate.
Ne consegue, dunque, che in sede di compilazione del Dvr il datore di lavoro è tenuto a considerare anche tutti quegli elementi che, seppur estranei alla prestazione lavorativa in senso stretto, possono comunque influire sulla salute e sicurezza del lavoratore; qualora non ponga in essere questa attività valutativa e di contrasto, si configura un inadempimento e la sua diretta responsabilità nel caso in cui il rischio si trasformi in realtà e, quindi, in danno per la lavoratrice.
Questo dovere imposto in capo al datore di lavoro è inoltre stato potenziato della Legge n. 205/2017 (cosiddetta Legge di Bilancio 2018), che ha rimarcato il ruolo delle organizzazioni sindacali in questo ambito; a mente della richiamata disposizione (art. 1, comma 218) “i datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell’art. 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su principi di eguaglianza e di reciproca correttezza”.
Tutto quanto detto fino ad ora vale anche con riferimento alle lavoratrici e ai lavoratori sommministrati o dipendenti di imprese in appalto, laddove la responsabilità non è, o non è solo, del datore di lavoro diretto, ma anche (e soprattutto) della stazione committente, come ampiamente descritto nel post pubblicato la settimana scorsa. Con una recentissima sentenza (Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 25 febbraio 2019 n. 5419) la Corte di Cassazione, ribadendo l’orientamento consolidato anche nella sezione penale, ha chiarito infatti che è obbligo del committente adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, anche se dipendenti da un’impresa appaltatrice, dato che è il committente ad avere la disponibilità ultima dell’ambiente di lavoro.
Ancora una volta, quindi, è evidente come le misure da adottarsi non possano limitarsi alle modalità del lavoro bensì all’ambiente tutto, proprio perché i rischi non possono circoscriversi alla prestazione lavorativa, ma al contesto generale in cui questa viene svolta.
Si rammentano, infine, tra le varie fonti interne, comunitare e internazionali, l’Accordo quadro del 2004, “la sopraffazione e la violenza sul lavoro sono fattori stressogeni potenziali”, e come chiarito dal Codice di Condotta allegato alla Raccomandazione 92/131/CEE “le molestie sessuali guastano l’ambiente di lavoro e possono compromettere con effetti devastanti la salute, la fiducia, il morale e le prestazioni di coloro che le subiscono. L’ansia e lo stress provocati da abusi di questo genere causano assenze per malattia, una minore efficienza o un allontanamento dal posto di lavoro e la ricerca di un nuovo impiego”.
Riteniamo per questo di primaria importanza svolgere un’adeguata azione di prevenzione e di contrasto alle molestie in tutti i luoghi di lavoro, con la collaborazione dei vari soggetti indicati dalla normativa e con lo studio delle più adeguate misure in base al contesto (pullmini, presenza di personale di vigilanza, formazione, ecc.); un’attenzione e cura particolari devono essere rivolte alle situazioni e con riguardo alle lavoratrici più “dimenticate”, economicamente e socialmente più esposte, che ancor più raramente (rispetto a una media di segnalazioni già molto bassa) segnalano i soprusi e le molestie per il timore di perdere il lavoro.
* La co-autrice è una delle curatrici di questo blog, qui la sua biografia.
** Pavese di nascita e milanese di adozione, mi sono laureata in Giurisprudenza presso l’Università Commerciale L. Bocconi con una tesi in diritto del lavoro. Attualmente svolgo la pratica forense presso lo Studio Legale Rosiello e Associati di Milano per diventare, “da grande”, avvocato giuslavorista.