Un panel fatto da 39 esperti e voluto da Bruxelles per combattere la disinformazione online in vista delle Europee. Nato a gennaio 2018, chiuso a marzo dello stesso anno e che ha prodotto solo regole “diluite”. Perché Google e Facebook – tra i big del web presenti al tavolo – hanno “ricattato” e sfidato a “braccio di ferro” il gruppo di esperti, col risultato di nuove regole che erano “una schifezza totale”, e una “foglia di fico”. Le dichiarazioni sono state rilasciate sotto anonimato ai giornalisti di Investigate Europe e pubblicate da openDemocracy. Secondo le fonti, Facebook e Google avevano “alleati potenti al tavolo degli esperti” che hanno scritto il Codice di condotta (EU Code of Practice on Disinformation) per le piattaforme online a settembre 2018 (basato sul report del gruppo uscito a marzo, ndr), e hanno utilizzato il loro potere finanziario e i loro legami per annacquare le nuove regole. “Si tratta di un intenzionale travisamento di una discussione tecnica sul modo migliore per riunire un gruppo intersettoriale, allo scopo di affrontare il problema delle notizie false – replica alle accuse un portavoce di Facebook – . Riteniamo che siano stati compiuti progressi reali con il Codice di Condotta e siamo ansiosi di lavorare con le istituzioni europee per attuarlo”.

Il gruppo di esperti – Gli incontri erano iniziati a gennaio 2018 e tra gli invitati al panel c’erano anche grandi editori: Sky, Bertelsmann, Ard, Mediaset (Gina Nieri) e Federico Fubini (vicedirettore ad personam del Corriere della Sera), ma anche Reporters Without Borders e Wikimedia. Il momento di crisi è arrivato quando Monique Goyens, direttore generale della European Consumer Association, e altri membri del gruppo hanno chiesto di verificare “se le politiche europee sulla concorrenza commerciale potessero avere un ruolo nella limitazione delle fake news”. Una richiesta che avrebbe dovuto attivare il Commissario Ue per la concorrenza per verificare si modelli di business dei big del web “aiutassero la diffusione della disinformazione“. Goyens dice esplicitamente: “Siamo stati ricattati”. Un’altra fonte riferisce a openDemocracy che il capo lobbista di Facebook, Richard Allan – anche lui parte del gruppo –  “ci ha minacciati dicendoci che se non avessimo smesso di parlare di strumenti per la concorrenza Facebook avrebbe smesso di supportare progetti giornalistici ed accademici“. Un episodio che Facebook non ha commentato.

Altre fonti sottolineano come Google non dovesse fare particolari pressioni per andare nella stessa direzione, visti i suoi conflitti di interesse all’interno del gruppo. Erano almeno 10 infatti le compagnie chiamate nel gruppo che ricevevano denaro da Mountain View. Tra queste c’è il Reuters Institute for the Study of Journalism, presso l’University di Oxford, che entro il “2020 avrà ricevuto 10 milioni di euro da Google per il suo Digital News Report“. E anche Poynter Institute e First Draft News hanno ricevuto fondi dai “big”. Tutto dichiarato e trasparente, ma si tratta di denaro che, spiega Divina Frau-Meigs, docente di sociologia dei media della Sorbona, “arriva direttamente dal dipartimento marketing di Google e Facebook“.

Nell’inchiesta di Investigate Europe, si legge anche che “Facebook e Google difendono da anni e in modo sostanzioso i loro interessi a Bruxelles. Secondo il registro Ue delle lobby, Facebook ha speso almeno 3,5 milioni di euro per i suoi impiegati nella città belga nel 2018, mentre Google ha sforato i 6 milioni”. E “quando si parla di certi temi, scavano ancora più a fondo nelle loro tasche”. L’anno scorso, ad esempio, Google – secondo i calcoli di Uk Music, che rappresenta l’industria musicale britannica – ha speso oltre 31 milioni di euro per fare lobby contro una legge sul copyright più restrittiva.

Un tema, quello del diritto d’autore, sul quale anche alcuni eurodeputati hanno dichiarato in passato di avere ricevuto minacce mentre era in esame la riforma al Parlamento Ue, senza specificarne l’origine. Solo poche settimane fa la Commissione europea – in una dichiarazione congiunta del vicepresidente Andrus Ansip, e dei commissari Ue alla Giustizia Vera Jurova, alla Sicurezza Julian King, e al Digitale Mariya Gabriel – aveva sottolineato i progressi fatti da Google, Twitter e Facebook nella lotta alla disinformazione sottolineando però che “occorre fare di più per rafforzare l’integrità dei servizi, inclusi quelli pubblicitari. Inoltre, i dati non danno ancora i dettagli necessari a permettere un’analisi indipendente di come le politiche delle piattaforme abbiano contribuito a ridurre la diffusione della disinformazione nell’Ue”.

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