Il biologo francese François Galgani ha confermato a France Bleu RCFM il fenomeno ormai noto determinato dalle correnti. E gli effetti sui fondali, che sono nell'area del santuario dei cetacei, sono devastanti
Una nuova isola di rifiuti di plastica, lunga qualche decina di chilometri, sta andando alla deriva nel Mediterraneo, portata dalle correnti nelle acque tra l’Elba e la Corsica. Lo ha confermato a France Bleu RCFM François Galgani, biologo e responsabile dell’Institut français de recherche pour l’exploitation de la mer (Ifremer) di Bastia, sottolineando che si tratta di un fenomeno ormai noto, causato all’accumulo di plastica e da una certa disposizione delle correnti, che porta a un’alta concentrazione di rifiuti nell’area in questione. A ilfattoquotidiano.it Umberto Mazzantini di Legambiente Arcipelago Toscano spiega che si tratta di “una striscia di rifiuti che periodicamente si forma, quasi sempre quando si verificano forti piogge e che arriva dalle coste e dai fiumi, in modo particolare l’Arno, a Nord dell’Elba”. Il resto lo fanno le correnti, come descritto da Galgani: “Quelle del nord-ovest del Mediterraneo sono direzionate in maniera tale che l’acqua risalga lungo la costa italiana” ma, arrivata all’altezza dell’isola di Elba, non potendo più passare, si accumula nel canale della Corsica. Una situazione che preoccupa. Tant’è che anche la sezione Mare dell’Arpat, Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, i cui monitoraggi riguardano aree più vicine alla costa, ha riferito a ilfattoquotidiano.it l’intenzione di monitorare comunque l’evolversi della situazione.
LA SITUAZIONE ALL’ELBA – Si tratta di un fenomeno diverso, aggiunge ancora Mazzantini di Legambiente, rispetto alla “zuppa di plastica che permane tra l’Elba, la Corsica e Capraia, la cui presenza è stata confermata un paio di anni fa da uno studio del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr)” e composta da frammenti più piccoli di due millimetri. Altra cosa anche rispetto alle isole di plastica nel Pacifico o nell’Atlantico. In quel caso all’origine ci sono “correnti permanenti che provocano sempre degli accumuli negli stessi luoghi – ha spiegato Galgani – mentre nel Mediterraneo queste sono zone di accumulo dell’ordine di qualche giorno o qualche settimana, al massimo di due o tre mesi, ma mai permanenti”.
GLI EFFETTI DEVASTANTI – Alcuni effetti sono evidenti, altri sono sul fondo del mare, dato che in superficie resta solo il 15 per cento dei rifiuti di plastica. L’equipaggio franco-italiano di Expedition MED ha realizzato le ricerche scientifiche del progetto Pelagos Plastic Free per ridurre l’inquinamento marino da plastica e proteggere le diverse specie di cetacei che vivono nel Santuario Pelagos, conosciuto anche come “santuario dei cetacei”. Anche perché le biopsie effettuate su balenottere comuni del Mar Mediterraneo indicano concentrazioni di composti chimici e additivi della plastica, tossici e persistenti, più elevate rispetto a quelle effettuate su esemplari della stessa specie che vivono in aree meno inquinate. “La scorsa estate – ricorda Mazzantini – nell’ambito del progetto Vele Spiegate abbiamo trovato una situazione preoccupante, con rifiuti accumulati anche nelle piccole spiagge nascoste, persino nell’area protetta”.
IN ITALIA SEI CAPODOGLI SPIAGGIATI DALL’INIZIO DELL’ANNO – Dall’inizio dell’anno sono ben sei i capodogli spiaggiati sulle coste italiane. L’ultimo caso a Palermo, pochi giorni prima un altro esemplare è stato trovato a Cefalù con lo stomaco pieno di plastica. A fine marzo, a Porto Cervo era stata trovata una femmina di capodoglio gravida con ben 22 chili di plastica nello stomaco. Come documentato dal Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università degli Studi di Padovane negli ultimi dieci anni nel 33 per cento degli spiaggiamenti che hanno riguardato i capodogli, questi animali sono stati ritrovati con frammenti di plastica nello stomaco e nel 4 per cento dei casi avvolti dai resti di reti abbandonate. Lo ha ricordato Greenpeace, dopo l’ultimo episodio di Palermo, impegnata insieme a The Blue Dream Project in una spedizione di ricerca, monitoraggio e documentazione sull’inquinamento da plastica appena presentata, che si concentrerà nel Mar Tirreno Centrale, anche nell’Arcipelago Toscano.
IL PROBLEMA DEL RECUPERO – A France Bleu RCFM lo scienziato francese Galgani ha evidenziato un problema legato alle difficoltà di ripulire il mare da oggetti e materiali che non sempre conviene economicamente recuperare. “Se stai cercando reti da pesca sul fondo – ha sottolineato – si tratta di oggetti che sono molto costosi, possono essere riparati, riutilizzati e quindi riciclati. Si possono ripulire anche le spiagge perché danno un valore patrimoniale al luogo a attraggono più turisti. In mare, al contrario, il problema è che i rifiuti galleggianti non possono essere riciclati. Sono molto degradati, ci sono materiali molto eterogenei. Ci sono diversi tipi di plastica” e quindi il riciclo costerebbe molto di più”.
OLTRE LA METÀ DEI RIFIUTI È PLASTICA MONOUSO – Secondo l’esperto di Legambiente oltre la metà dei rifiuti è rappresentato da plastica monouso “quindi la nuova direttiva europea appena approvata dal Consiglio dell’Unione Europea – commenta – darà un aiuto notevole”. Da questo punto i vista all’Elba i tempi sono stati anticipati. Dopo Marciana Marina, Campo nell’Elba e Porto Azzurro anche il Comune di Capoliveri, all’inizio del 2019 ha detto no alla vendita di prodotti di plastica monouso tra campeggi, alberghi e negozi, aderendo così alla campagna Palagos Plastic Free lanciata proprio da Legambiente e Parco Nazionale Arcipelago Toscano. Il resto l’hanno fatto i pescatori di Livorno e il progetto sperimentale ‘Arcipelago Pulito’ lanciato a marzo 2018 dalla Regione Toscana. Un’idea sposata dall’Europa nella direttiva sugli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi, approvata a marzo scorso dal Parlamento di Strasburgo.