La richiesta, avanzata dalla difesa di Cavallini, è legata a una "disomogeneità" tra i resti attribuiti alla vittima nel 1980 e quelli campionati dopo la riesumazione, che ha avuto luogo il 25 marzo nel cimitero di Montespertoli (Firenze). Per l’esame è stato nominato un esperto del Ris di Roma
La Corte d’assise di Bologna ha disposto un esame del Dna sui resti di Maria Fresu, che perse la vita il 2 agosto 1980, alla Stazione di Bologna, assieme alla figlia Angela, di appena 3 anni. I resti della donna sono stati recentemente riesumati e la perizia è stata disposta nell’ambito del processo all’ex Nar Gilberto Cavallini, imputato per concorso nell’attentato alla stazione di Bologna.
La richiesta, avanzata dalla difesa di Cavallini, è legata a una “disomogeneità” tra i resti attribuiti alla vittima nel 1980 e quelli campionati dopo la riesumazione, che ha avuto luogo il 25 marzo nel cimitero di Montespertoli (Firenze). Per l’esame è stato nominato un esperto del Ris di Roma. I resti si trovavano in una piccola bara e non chiusi in appositi contenitori chimici. Del corpo di Maria Fresu fu ritrovato poco o nulla: una mano con 3 dita, uno scalpo con lunghi capelli neri, un osso mandibolare con tre denti, le due arcate sopraccigliari e un occhio. Resti che sono stati riesumati nelle scorse settimane dai periti incaricati dalla magistratura di un nuovo accertamento tecnico sugli esplosivi e che, se sottoposti all’esame del Dna, potrebbero mettere fine al giallo dell’86esima vittima, chiarendo definitivamente se siano appartenuti o meno effettivamente alla giovane mamma.
Quando esplose la bomba, Maria Fresu si trovava nella sala d’aspetto accanto alla figlia Angela, e a due amiche, Verdiana Bivona e Silvana Ancillotti, con cui si apprestava a partire per una vacanza in Trentino. Silvana Ancillotti sopravvisse all’esplosione e poté poi raccontare che in quel momento le tre amiche e la bimba erano una accanto all’altra. Lei rimase ferita, Verdiana Bivona e la piccola Angela Fresu morirono travolte dal crollo di una parte dell’edificio, non per l’effetto diretto dell’esplosione, né per le ustioni. Maria Fresu, invece, sarebbe stata disintegrata. Ad attribuire quei pochi resti alla Fresu fu un medico, il professor Pappalardo, che, all’epoca, per far quadrare i conti che non tornavano sul gruppo sanguigno della ragazza, parlò di “secrezione paradossa”, una tesi che anni dopo sarà giudicata astrusa e infondata dagli ematologi. Da qui l’interrogativo, posto nel libro I segreti di Bologna del giudice Rosario Priore e dell’avvocato Valerio Cutonilli (Chiarelettere, 2016): se quei resti non appartengono alla Fresu e nessuno dei cadaveri delle donne sfigurate aveva un gruppo sanguigno compatibile, potrebbero quei resti appartenere a una ottantaseiesima vittima mai identificata?
L’incarico è stato stato affidato a Elena Pilli, biologa, consulente genetico-forense presso il dipartimento di Biologia Evoluzionistica dell’Università di Firenze, Pilli è un’esperta nell’analisi del Dna e svolge da circa dieci anni attività di collaborazione con il Ris. Ha lavorato all’identificazione dei caduti tumulati alle Fosse Ardeatine, occupandosi anche di alcuni casi di cronaca eclatanti come la vicenda di Elisa Claps e l’omicidio di Melania Rea. Esperta nell’analisi del Dna estratto da qualsiasi materiale biologico repertato sulla scena del crimine con particolare riferimento all’analisi di campioni altamente degradati quali ossa e denti umani ed animali, capelli e peli umani ed animali, svolge attività di consulenza genetico-forense alle procure della Repubblica, ai tribunali penali e civili di tutto il territorio nazionale, agli studi legali.