Ha liquidato l’indagine per voto di scambio politico-mafioso che riguarda il suo ex capo di Gabinetto e consigliere alla Caccia e Pesca, Franco Alfieri, con una battuta sul Movimento Cinque Stelle. Definì la presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi, “un’infame, da uccidere” dopo essere stato inserito nella lista degli impresentabili perché imputato nel processo legato alla vicenda Sea Park, nella quale è poi stato assolto. Parole talmente tanto forti, da essere costretto a scusarsi con una nota ufficiale. E quattro anni fa vinse la battaglia per la poltrona di governatore della Campania contro Stefano Caldoro anche grazie a una lista di “ex amici” di Nicola Cosentino, condannato in primo grado nel 2016 a 9 anni per i suoi rapporti con i clan della camorra e nel 2017 per reimpiego di capitali illeciti con l’aggravante mafiosa.
Ma, nel ricordare Giovanni Falcone, a Vincenzo De Luca viene da “piangere” a pensare che “sono morti (il riferimento è anche a Paolo Borsellino, nda) per un’Italia come quella che abbiamo oggi davanti agli occhi” perché “non era questa l’Italia e lo Stato che sognavano”. Parole certamente condivisibili, se non fosse per un particolare: il presidente della Regione non risulta averle mai pronunciate ai tempi in cui era sindaco di Salerno e al governo c’era il centrodestra guidato da Forza Italia, partito fondato da Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
“Per quanto ci riguarda – ha aggiunto De Luca secondo quanto riporta l’Ansa – noi onoreremo il sacrificio di Falcone mantenendo il senso del dovere, del rigore assoluto e la dignità istituzionale. Faremo la nostra parte come ha fatto lui, a fronte dei cialtroni che sono al Governo dell’Italia”. Concetto simile a quello espresso nel 2017, quando il governatore aveva parlato di riaffermazione dell’impegno a difendere i “principi di legalità e di rigore che sono insegnamento costante per tutti nella battaglia contro la delinquenza organizzata”. Ma sulla richiesta di dimissioni di Franco Alfieri, avanzata dalle opposizioni, ha sostanzialmente taciuto. Eppure le ombre attorno all’ex capo di Gabinetto di De Luca, uomo delle “fritture di pesce” e della “clientela come Cristo comanda” schierata per il referendum costituzionale, sono ingombranti: nei suoi confronti la Dda di Salerno ipotizza il reato di voto di scambio politico-mafioso.
L’inchiesta nasce da un’intercettazione captata durante un’altra indagine, che nel novembre scorso ha portato a 22 arresti nella famiglia Marotta, gli ‘zingari’ di Agropoli, accusati di aver minacciato il sindaco e un maresciallo dei carabinieri che stava indagando su di loro. Gli investigatori tengono sotto controllo i cellulari dei Marotta e ascoltano una telefonata tra uno di loro, ristretto ai domiciliari, e Alfieri, ora candidato a sindaco di Capaccio Paestum: secondo l’ipotesi del pubblico ministero, che sta portando avanti gli accertamenti, l’allora primo cittadino di Agropoli si sarebbe prodigato per procurare a uno dei Marotta un posto di lavoro nell’azienda dei rifiuti.
Accuse pesanti, di fronte alle quali i Cinque Stelle campani hanno chiesto un allontanamento da parte di De Luca. La riposta del governatore di fronte all’intercettazione? Nessun riferimento a “principi di legalità” né “rigore assoluto e dignità istituzionale”, ma un laconico: “I 5 stelle… i 5 stelle… sono al tramonto”. Né un cenno al discorso di Paolo Borsellino di fronte agli studenti dell’istituto Remondini di Bassano del Grappa, nel gennaio 1989, quando il magistrato antimafia ricordò che la “politica dovrebbe fare pulizia di coloro che sono raggiunti da fatti inquietanti, anche se non sono reati”.
Eppure, negli ultimi anni, De Luca ha spesso parlato in occasione dell’anniversario di Capaci. Il 23 maggio 2015, durante la campagna elettorale che lo vedeva impegnato per strappare la Regione Campania al centrodestra, era stato chiarissimo: “Onore a Giovanni Falcone e a tutte le vittime della criminalità. In questa giornata continuiamo il nostro impegno per strada, tra la gente in carne ed ossa. Siamo consapevoli, insieme col presidente Renzi, che la criminalità si sconfigga creando lavoro e futuro per i giovani e le famiglie. Ce la faremo tutti insieme e a testa alta”. Erano giorni impegnativi per l’ex sottosegretario ai Trasporti del governo Letta: una settimana più tardi avrebbe battuto Caldoro raccogliendo 987.927 voti contro i 921.481 del governatore uscente.
Del milione scarso di preferenze raccolte dal governatore, un gruzzoletto di 34.337 arrivò dalla lista Campania in rete, ispirata dall’allora senatore Vincenzo D’Anna e da altri pezzi di centrodestra vicini a Nicola Cosentino, l’ex sottosegretario di Forza Italia considerato il “referente politico” dei Casalesi e attualmente imputato in 4 processi nei quali ha riportato tra primo e secondo grado condanne a 25 anni di carcere. Voti pesanti quelli di Campania in Rete, perché – come spiegò Ilfattoquotidiano.it – se la lista che teneva insieme ex fascisti, ex segretari del Fronte Nazionale ed ex amici di Cosentino avesse deciso di appoggiare Caldoro, De Luca avrebbe perso per 2.228 voti.