Andare a votare il 26 maggio è molto importante, ma non tanto per eleggere il nuovo (impotente) Parlamento di una Unione europea ormai in agonia conclamata: votare è invece indispensabile per non fare cadere il governo italiano completamente nelle mani della Lega di Matteo Salvini. Il Parlamento europeo conta poco o nulla, non propone le leggi dell’Europa, può discutere o ratificare quelle decise dalla Commissione Ue – nominata dai governi – e dal Consiglio europeo, composto dai capi dei governi.
Nelle ultime Elezioni europee del 2014 sono andati a votare solo il 43% degli aventi diritto. In alcuni Paesi dell’Est, come nella Repubblica Ceca e in Slovacchia, sono andati a votare solo il 15% circa degli elettori. In Polonia il 23%. Le Elezioni europee per un Parlamento che non conta quasi niente non scaldano il cuore dei popoli del vecchio continente. Sulle questioni economiche dell’Eurozona, quelle cruciali per l’Italia, il Parlamento Ue non ha in pratica nessun potere sostanziale. Le politiche dell’euro sono decise dalla Bce – ente formalmente indipendente, ma di fatto legato a filo doppio ai governi di Berlino e da Parigi che stanno già preparando la nomina del successore di Mario Draghi alla presidenza – e da altri organismi come l’Eurogruppo, che raccoglie i governi dei paesi dell’euro, e il Meccanismo europeo di Stabilità, un’organizzazione intergovernativa che vorrebbe diventare il Fondo monetario internazionale per l’Europa, cioè imporre il Berlin Consensus e le feroci politiche già applicate alla Grecia a tutti i paesi europei con debito elevato, come l’Italia.
Insomma: il Parlamento Ue è quasi decorativo e conta come il due di picche. In realtà il governo di Berlino, e in piccola parte quello di Parigi, guida effettivamente le danze. Nonostante quello che afferma la stragrande maggioranza dei leader politici europei – dal presidente francese Emmanuel Macron all’ex ministro greco Yanis Varoufakis – e nonostante le illusioni riformiste sull’Europa unita propagandate dal segretario Pd Nicola Zingaretti, il Parlamento europeo non riuscirà certamente a cambiare le politiche di dura austerità che rovinano da troppi anni le economie dei Paesi cosiddetti periferici producendo disoccupazione e caduta verticale dei redditi. Il Parlamento Ue serve a dare una patina di legittimità democratica a una Ue in cui comandano la grande finanza e gli stati più forti, cioè Germania e Francia. I quali non accetteranno mai di essere condizionati e governati da un Parlamento Ue con reali poteri decisionali in cui potrebbero essere messi in minoranza.
Nonostante le elezioni, il problema è che l’Unione europea fondata sull’euro sta probabilmente giungendo al capolinea. Non c’è più una ombra di strategia per il futuro. La Germania, la nazione dominante della Ue, non ha né la capacità né la volontà di integrare l’Europa grazie a politiche espansive e di sviluppo a favore di tutti i Paesi europei. Bada solo ai suoi interessi nazionalistici immediati. La visione (pur elitaria) di un’Europa sovrana proposta dal francese Macron è stata decisamente respinta non solo dai gilet gialli ma anche e soprattutto dal governo tedesco: l’euro e la Ue sono il vaso di coccio nello scontro tra gli Usa di Donald Trump, la Cina di Xi Jinping e la Russia di Vladimir Putin.
Germania e Francia sono nazioni sovraniste, e non condivideranno mai i loro poteri – Germania il potere della manifattura e dell’export, e Francia quello finanziario e militare – con gli altri stati; e non condivideranno mai i loro bilanci fiscali con i Paesi mediterranei e con i Paesi europei debitori. Senza bilancio comune l’euro è sempre più in bilico di fronte alla prossima prevedibile crisi finanziaria. La colpa della crisi verrà attribuita al troppo elevato debito pubblico dell’Italia, ma in effetti è l’architettura deflattiva e depressiva dell’euro e dell’Eurozona a essere insostenibile. L’Europa è ormai irrimediabilmente spaccata tra Paesi del Nord e quelli del Sud, tra quelli dell’Ovest e quelli ultrareazionari di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia). In questo contesto il Parlamento europeo potrà poco o nulla contro la deriva europea e dell’eurozona. Riformare i trattati – che richiedono l’unanimità tra i governi dei 28 Paesi Ue – è puro velleitarismo.
L’obiettivo è allora quello di votare per l’Italia, per contrastare innanzitutto il possibile minaccioso successo elettorale della Lega. Perché il governo italiano non cada nelle mani di una destra quasi eversiva, guidata da un ministro dell’Interno che ha giurato sulla Costituzione italiana ma che invece fomenta la destra più estrema e, contrastando la magistratura, si oppone di fatto alla separazione costituzionale e democratica dei poteri puntando decisamente a un presidenzialismo autoritario. Non contrastare con il voto europeo la Lega di Salvini significa lasciarle la possibilità di rafforzarsi all’interno del governo giallo-verde, o di tentare la formazione di un nuovo governo con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Non serve – ed è anzi è dannoso e controproducente – formare un fronte largo europeista da Macron ad Alexis Tsipras che difenda a spada tratta questa Europa indifendibile, anti-popolare e purtroppo irriformabile. E’ infatti proprio questa Europa dell’austerità che ha alimentato l’onda della destra populista e sovranista. Per difendere l’interesse nazionale e la democrazia occorre invece arginare con un voto progressista le mire autoritarie della Lega di Salvini.