Cronaca

Pedofilia, dall’era Ratzinger e Bagnasco a Bergoglio e Bassetti: così la Cei è passata dal ‘non obbligo’ alla spinta a denunciare

La Conferenza episcopale italiana ha introdotto “l’obbligo morale” di denuncia alle autorità civili dei casi di abuso sessuale su minori commessi dai sacerdoti. Una svolta impensabile fino a pochi anni fa, visto che nelle due versioni precedenti delle Linee guida - la prima risalente al 2012 - i vescovi italiani avevano sempre respinto questa ipotesi

Svolta storica della Cei sul contrasto alla pedofilia. Per la prima volta, infatti, la Conferenza episcopale italiana ha introdotto “l’obbligo morale” di denuncia alle autorità civili dei casi di abuso sessuale su minori commessi dai sacerdoti. L’assemblea generale della Cei ha, infatti, approvato, per la terza volta in sette anni, le Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili nelle quali i vescovi della Penisola si impegnano a trasmettere alle autorità civili le denunce di abusi su minori commesse dai loro preti. È una svolta impensabile fino a pochi anni fa, visto che nelle due versioni precedenti i presuli italiani avevano sempre respinto questa ipotesi. Merito di questo radicale cambiamento di rotta è il recente summit sulla pedofilia nella Chiesa indetto da Bergoglio in Vaticano nel febbraio 2019, e al quale a nome della Cei ha partecipato il suo presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti. E soprattutto le nuove normative emanate da Francesco per il contrasto degli abusi.

Non è la prima volta, infatti, che in tempi recenti la Chiesa italiana approva le Linee guida in materia di pedofilia. La genesi di questo documento è stata abbastanza travagliata e ha visto perfino uno scontro aperto con la Congregazione per la dottrina della fede, l’organismo vaticano che si occupa degli abusi. La prima versione delle Linee guida risale al 2012, quando il Papa era ancora Benedetto XVI e il presidente della Cei era il cardinale Angelo Bagnasco. In quel testo, i presuli affermarono che “nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti oggetto delle presenti Linee guida”.

Su questo punto, però, la Congregazione per la dottrina della fede era stata chiarissima. L’ex Sant’Uffizio, infatti, aveva affermato che “l’abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall’autorità civile. Sebbene i rapporti con le autorità civili differiscano nei diversi Paesi, tuttavia è importante cooperare con esse nell’ambito delle rispettive competenze. In particolare, va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale. Naturalmente, questa collaborazione non riguarda solo i casi di abusi commessi dai chierici, ma riguarda anche quei casi di abuso che coinvolgono il personale religioso o laico che opera nelle strutture ecclesiastiche”.

Due anni dopo, nel 2014, con Bergoglio divenuto Papa, la Cei aveva modificato quel passaggio limitandosi a inserire semplicemente un inciso: “Nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico – salvo il dovere morale di contribuire al bene comune – di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti oggetto delle presenti Linee guida”. Bagnasco aveva spiegato che “quello della Cei non è un no alla denuncia alla magistratura civile, ma un’attenzione verso le vittime e risponde a ciò che i genitori ritengono meglio per il bene dei propri figli. Per noi l’obbligo morale è ben più forte dell’obbligo giuridico, e impegna la Chiesa a fare tutto il possibile per le vittime”. Una posizione in totale contrasto con quella della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, istituita da Bergoglio, che aveva precisato che “abbiamo tutti la responsabilità morale ed etica di denunciare gli abusi presunti alle autorità civili che hanno il compito di proteggere la nostra società”.

Dopo un cammino di sette anni, è arrivata finalmente la svolta per la Chiesa italiana che si è adeguata alle severe leggi emanate recentemente da Francesco. Già alla vigilia del summit sulla pedofilia tenutosi in Vaticano, la Cei aveva approvato il regolamento del Servizio nazionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nella Chiesa. Anche in questo caso si era registrato un passo in avanti molto significativo, in forte controtendenza con il passato. Numerosi e importanti, infatti, sono i compiti affidati a questo organismo: il consiglio e il supporto alla Cei e ai singoli vescovi; la promozione e l’accompagnamento delle attività dei servizi regionali e inter-diocesani; lo studio e la proposta di contenuti informativi e formativi, oltre che di strumenti operativi per consolidare nelle comunità ecclesiali una cultura della tutela dei minori, per rafforzare la sicurezza dei luoghi ecclesiali frequentati dai minori, per formare tutti gli operatori pastorali e prevenire ogni forma di abuso. Il Servizio nazionale, presieduto da monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo metropolita di Ravenna-Cervia, lavora anche in collegamento con gli altri uffici della Segreteria generale della Cei e con la Pontificia Commissione per la tutela dei minori.

Ai vescovi sono state anche presentate le indicazioni per la costituzione dei Servizi regionali e inter-diocesani. L’obiettivo è quello di contribuire a diffondere in modo concreto una cultura della prevenzione, fornire strumenti di formazione e informazione, oltre a protocolli procedurali aggiornati. Di non meno rilievo è il fatto che accanto a un livello nazionale e un livello inter-diocesano, possa esserci sempre, a livello locale, un referente diocesano di supporto al vescovo. Le nuove Linee guida approvate vanno proprio in questa direzione e sono strutturate secondo alcuni principi. Innanzitutto il rinnovamento ecclesiale, che pone al centro la cura e la protezione dei più piccoli e vulnerabili come valori supremi da tutelare, punto di riferimento imprescindibile e criterio dirimente di scelta. Poi l’ascolto delle vittime e la loro presa in carico; l’impegno per sviluppare nelle comunità una cultura della protezione dei minori, di cui è parte la formazione degli operatori pastorali; una selezione prudente dei candidati agli ordini sacri e alla vita consacrata; la collaborazione con l’autorità civile nella ricerca della verità e nel ristabilimento della giustizia; la scelta della trasparenza, sostenuta attraverso un’informazione corretta, attenta a evitare strumentalizzazioni e parzialità. Infine, l’individuazione di strutture e servizi a livello nazionale, inter-diocesano e locale, finalizzati a promuovere la prevenzione grazie all’apporto di competenze e professionalità.

Twitter: @FrancescoGrana