Avevano ottenuto quasi 400mila euro con truffe a decine e decine di religiosi in tutta Italia: responsabili di parrocchie a Perugia, conventi in Lombardia e Sicilia, scuole in Puglia, case di riposo. Tra le vittime c’è anche l’ex arcivescovo di Sassari Paolo Atzei, 77 anni, rientrato da poco nel convento di San Francesco a Oristano, al termine del suo mandato episcopale. I truffatori sostenevano che il Comune, la Regione o la banca avevano erogato all’ente religioso dei contributi superiori al dovuto e quindi bisognasse restituire la differenza. Era tutto falso. Per 86 volte, e forse qualcuna di più, una banda guidata da una 38enne, Concettina Galizia, chiamata la “zia Ketty”, ha truffato anziani religiosi. Lo hanno scoperto i carabinieri del comando provinciale di Torino e della compagnia Oltre Dora che hanno arrestato quattro persone, mentre otto – i prestanomi titolari dei conti su cui venivano incassate le somme – hanno ottenuto un obbligo di dimora o di firma. Sono tutti indagati per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata e di un caso di estorsione.
“Buongiorno, è il Comune. Cercavo il responsabile”. Così “zia Ketty”, il soprannome della Galizia, cominciava le sue telefonate, variando di volta in volta il contenuto. “Stavo chiamando per quanto riguarda la domanda dei contributi – aggiungeva -. Noi i soldi li abbiamo già spediti in banca. L’unica cosa che c’è stato un piccolo errore, sono stati messi dei soldi in più che non erano vostri”. La soluzione proposta era sempre unica: fare due versamenti su due carte Poste Pay per “restituire l’eccedenza”, in realtà inesistente. A confermare, poi, interveniva il complice, Alfio Cangelosi, che interpretava il ruolo di direttore della filiale o dell’ufficio postale per istruire gli anziani religiosi: “Si deve recare lì (in banca o alla posta, ndr) e deve dirgli: ‘Devo versare 2.250 euro in un numero e 2.250 in un altro”. Questo è stato il modus operandi utilizzato per 86 volte nell’arco di pochi mesi, dal novembre scorso fino a marzo.
A gennaio, ad esempio, hanno “intortato” una suora dell’Istituto delle suore poverelle Luigi Palazzolo di Senigallia (Ancona) fingendosi dei dipendenti del Comune che ha versato dei contributi per l’alluvione della primavera 2014. Per il “solito” errore contabile, le suore avrebbero dovuto restituire 4.500 euro: “Il contributo che abbiamo fatto noi è di 22.500 euro – diceva Galizia -. C’è stato uno sbaglio di 4.500 euro in più che non erano vostri, ma erano di un ente privato. Va a finire che il contributo lo rimandano indietro e poi lo riprendente tra qualche anno (…). Se non lo restituiamo poi loro a mezzogiorno me lo rimandano indietro e poi non lo prendete più questo contributo”. In un’altra occasione, invece, si trattata di contributi per dei lavori svolti o per i servizi erogati da asili e case di riposo. Qualche volta le vittime sospettavano, dicevano che dei contributi richiesti loro non sapevano niente. Allora la risposta era sempre la solita: “La richiesta è partita dalla casa madre”, di volta in volta situata a Roma, Bergamo o altrove. Poi “zia Ketty” lasciava il numero del presunto direttore della filiale della banca, al quale rispondeva il complice. Cangelosi, per evitare di farsi scoprire, chiedeva riserbo, puntando sulla “solidarietà” del caritatevole interlocutore: “Le chiedo una cortesia: siccome lo sto facendo a titolo di favore e mi sto prendendo la responsabilità di fare questa cosa per non lasciarvi in una situazione brutta, c’è il rischio che io prenda un richiamo”. Quindi chiedeva riservatezza. “Mi raccomando un po’ di discrezione perché sennò purtroppo perdo il lavoro”, diceva in un’altra occasione.
Queste modalità sono state scoperte per caso. Intercettando i telefoni nel corso di un’inchiesta per estorsione, i carabinieri hanno sentito decine di questi racconti. Poi, coordinati dal sostituto procuratore Paolo Scafi, sono riusciti a recuperare molte denunce fatte tra ottobre e novembre, prima che cominciassero le intercettazioni. In questo modo gli investigatori hanno ricostruito il quadro complessivo: “Un lavoro certosino”, lo ha definito Paolo Borgna, procuratore facente funzioni a Torino. L’inchiesta potrebbero non essere completa: “Noi pensiamo che i casi siano molti di più” dichiara il comandante provinciale Francesco Rizzo. Il consiglio è di rivolgersi alla compagnia Oltre Dora comandata dal capitano Andrea Iannucci o direttamente al 112.