La stampa italiana, come già accaduto nel 2017, ha commentato gli exit poll per le Elezioni europee olandesi salutando la “vittoria della sinistra” e lo stop ai populisti. Repubblica, che titola “Eurovoto, primo round a sinistra”, si avventura in un commento un po’ audace sostenendo che “dopo due anni a rischio estinzione la sinistra torna a vincere. In modo del tutto inaspettato”. Se, certamente, l’exploit laburista ha lasciato tutti di stucco, l’affermazione che in Olanda la “sinistra torna a vincere dopo due anni a rischio estinzione” appartiene più alla lista di oscuri significati colti da chi scrive analisi da Bruxelles o Berlino, credendo che l’Aja sia la stessa cosa solo perché vicina, che non alla realtà.
Se gli exit poll verranno confermati vorrà dire che c’è stata certamente una vittoria personale di Frans Timmermans, l’olandese più noto in Europa, ma è difficile dire se i laburisti (Pvda) siano usciti dalla crisi nera che nel 2017 li ha portati al minimo storico. E soprattutto, numeri alla mano, è difficile – anzi impossibile – dire che la sinistra ha vinto: c’è stato, al massimo, un travaso di voti tra partiti di sinistra che ha premiato i movimenti europeisti – tranne i liberal-democratici del D66 – ma il saldo finale, per la sinistra olandese, è meno un seggio rispetto al 2014: erano 12 gli europarlamentari allora, sarebbero 11 oggi. I laburisti raddoppiano i seggi ma l’Sp, il Partito Socialista, e il Pvdd, il Partito per gli Animali, entrambi iscritti al Gue, rischiano di rimanere fuori da Bruxelles. Chiaro a tutti il teorema della “coperta di Linus”: se tiro da una parte, rimane scoperto dall’altra. E in questo caso, lo scoperto è addirittura al ribasso: il Groenlinks, la sinistra rosso-verde, otterrebbe un buon risultato crescendo di un seggio ma l’onda verde non li avrebbe premiati come ci si sarebbe aspettati.
La sinistra olandese non è mai stata a rischio estinzione, se in un paese con cultura politica frammentata e governi di coalizione si considerano tutti i partiti riconducibili alla sinistra. Che non sono affatto, o non solo, i socialdemocratici guidati da Lodewijk Asscher e dal bomber Timmermans. Nel 2017, infatti, ciò che perse il Pvda venne raccolto dal Groenlinks e dal Partito per gli Animali. Anche in questo caso, un semplice travaso di voti.
In attesa dei risultati definitivi qualcosa di più certo di un commento basato su “corrispondenze a distanza” si può dire: Frans Timmermans è Frans Timmermans e fin dalla batosta elettorale del 2017 aveva chiarito di non avere alcuna intenzione di sporcarsi le mani con la crisi laburista nel suo paese. Come ha ripetuto in campagna elettorale: voglio diventare presidente della Commissione europea, non sono interessato a nessun altro incarico. Per un pezzo grosso della sua portata che è riuscito a far accettare al Pse la sua candidatura, nonostante l’irrilevanza elettorale del partito da cui proviene, l’Olanda è un terreno stretto e di scarso interesse. Così come lo sta diventando per Mark Rutte che più continua a rassicurare di non volersi trasferire a Bruxelles e più sembra intenzionato a voler fare il passo.
Il saldo a sinistra, insomma, non è negativo ma certamente non c’è nessun boom elettorale e la destra sovranista non è al tracollo ma travasa, anche in questo caso, i seggi del Pvv di Geert Wilders – leader ormai sul viale del tramonto – nella creatura di Thierry Baudet che entra con tre seggi, ossia quelli che mancherebbero a Wilders se effettivamente riuscisse a confermarne almeno uno. Se il Pvv era un caso da politologi (e da psichiatri), FvD è un temibile partito conservatore, molto ben strutturato, arrivato nell’arena politica per rimanere.
Nel complesso, quindi, il sentimento anti Ue vale ancora un quarto dell’elettorato olandese, esattamente come il “più Europa per tutti” incarnato da Groenlinks, D66 e parte del Vvd che ammontano – all’incirca – alla stessa percentuale di voti.
Per concludere: in attesa dei risultati definitivi possiamo dire che Timmermans ha vinto la tornata, ma non che l’abbia vinta la sinistra. Che i partiti nazionalisti-sovranisti rimangono stazionari e che un voto disertato da sei elettori su dieci (e questa volta è stata “affluenza fiume”: di solito sono sette su dieci alle Europee) va contestualizzato nel recinto europeo e non analizzato in maniera assoluta.