Le braccia del giornalista, il collega Stefano Origone di Repubblica, che coprono la testa, le sue urla di disperazione, le sue richieste di smetterla. Le manganellate ieri a Genova, durante gli scontri nati per via di un comizio di Casapound, sono continuate fin quando un ispettore di polizia ha riconosciuto Stefano e col suo corpo gli ha fatto scudo imponendo ai commilitoni di fermarsi nel tiro a bersaglio. Domandiamo: e se non ci fosse stato l’ispettore amico?
La polizia ha il compito di tutelare l’ordine pubblico e la libertà di espressione, beni essenziali della nostra democrazia. Noi cittadini abbiamo il dovere di fidarci di chi è chiamato a difendere la nostra sicurezza e la nostra incolumità. Ma chi ha questo compito delicatissimo, perché legittimato all’uso della forza, deve assumere un contegno superiore e soprattutto contenere l’istinto, imporsi un limite. Ieri a Genova molti limiti sono stati valicati.
Il primo: era ampiamente prevedibile che il comizio di Casapound avrebbe provocato scontri, anche violenti. Tra i compiti di chi deve vigilare c’è anche quello di prevenire gli incidenti e, nel caso, vietare o delocalizzare manifestazioni che comportino rischi di disordini così concreti. Invece la manifestazione è stata autorizzata.
Quel che è successo è figlio di una sottovalutazione che proprio Genova, la città che ricorda le botte, in alcuni casi vere e proprie sevizie, nel corso del famigerato G8 del 2001, non si poteva permettere. E purtroppo si allinea a comportamenti eccessivi che troppi poliziotti in troppe città italiane hanno tenuto negli ultimi mesi nei confronti di manifestazioni non violente e pacifiche, piene di sarcasmo, di ilare bonarietà, come le lenzuola stese per contestare la politica di Matteo Salvini.
Proprio ieri, mentre a Genova si manganellava un giornalista, scambiato per delinquente e dunque sottoposto (ammesso che sia lecito, e non lo è) a una cura di calci e pugni, a Bari e in altre località pugliesi le forze dell’ordine procedevano all’identificazione di alcuni manifestanti anti leghisti, pacifici e sorridenti, travestiti da Zorro per procedere contro di loro, se abbiamo capito bene, forse persino alla denuncia all’autorità giudiziaria per travisamento del proprio volto. E di qualche giorno fa l’identificazione di due ragazzi che tenevano in mano un cartonato anti Salvini. E qualche ora prima tre pompieri chiamati a tirar giù con una gru un lenzuolo antipadano, diciamo così, in terra bergamasca.
Sappiamo anche che il capo della polizia è un sincero democratico, che il prefetto Franco Gabrielli non è noto per promuovere atteggiamenti muscolari o favorire eccessi nell’esercizio delle funzioni dei suoi agenti. Sappiamo che spesso gli agenti divengono essi tiri al bersaglio (siamo stati spettatori dell’ultima gragnuolata di sedie e bottiglie che sedicenti tifosi laziali hanno lanciato contro i poliziotti durante la vigilia della finale di Coppa Italia a Roma).
Malgrado ciò troppi fatti, alcuni minimi certo, documentano una improvvisa foga poliziesca che ha come effetto collaterale la retrocessione della nostra democrazia verso forme di confronto muscolare. E tra i tanti guai che abbiamo questo di sicuro è il peggiore.