“È come fare il benzinaio. Se domani i ciclisti hanno una tappa da 240 chilometri in montagna, hanno bisogno di fare benzina: quindi tante proteine, prodotti freschi e soprattutto carboidrati, che sono il vero carburante”. Antonio De Sarro viene da Asti, ha 35 anni e di mestiere non fa il benzinaio, ma lo chef della squadra di Vincenzo Nibali: la Bahrain-Merida, che sta correndo il Giro d’Italia. Ci è arrivato dopo la gavetta in ristoranti stellati italiani, francesi, spagnoli e australiani e una serie di collaborazioni di alto livello nel ciclismo. “Tutto – dice lui – è successo per caso”.
La sua carriera è iniziata in un hotel di Torino, ma pochi mesi dopo ha fatto le valigie per la Spagna: “Quell’anno Valencia ospitava la Coppa America di barca a vela. Avevo uno zio che viveva lì e mi ha chiesto di raggiungerlo. Ho fatto finta di pensarci quei 30-35 secondi e poi sono volato da lui, imparando la lingua e trovando lavoro in un noto ristorante del porto”. È stato amore a prima vista: “A Valencia mi sono subito trovato da dio. Non era difficile: passavo da Asti a una città grande, universitaria, soleggiata, viva e sul mare. Anche per il lavoro mi è sembrata un altro mondo. Il ritmo era pesante perché così è in cucina, ma l’ambiente più vivibile. Ed essendo l’unico italiano forse sono stato un po’ avvantaggiato perché volevano inserire la pasta nel menù”.
A Valencia mi sono subito trovato da dio. Non era difficile: passavo da Asti a una città grande, universitaria, soleggiata, viva e sul mare
Non si è trasferito da subito, però. I primi anni ha fatto la spola tra Italia, Spagna e molti altri posti. “Ero appena tornato ad Asti, stavo cercando lavoro e ho trovato per puro caso una posizione aperta da “Guido“. Così sono entrato negli stellati”. Allora aveva 26 anni e da quel momento ne ha cambiati diversi di ristoranti da record. Alba, Barolo, ma anche Spagna, Francia e per un breve periodo Australia. “In Italia ho lavorato con grandi chef, tra cui Antonino Cannavacciuolo. Un’esperienza indimenticabile. Per stupirlo mi ero messo la giacca più bella che avevo: era marrone con delle stringhe dorate. Lui mi guarda, mi dà una delle sue pacche e mi dice ‘i cuochi si vestono di bianco!’. Di pacche me ne sono prese un bel po’”. Da lì in poi la strada di Antonio è stata segnata da avventure professionali incredibili, arrivando addirittura in India a rappresentare l’Italia: “Era una manifestazione internazionale, e mi sentivo davvero in imbarazzo perché Valentino era lì per l’alta moda e io per la cucina italiana”. Dopo le stelle all’improvviso, cinque anni fa, sono arrivate le due ruote: “Mi ha chiamato un collega dicendomi che stavano cercando dei cuochi per il Tour de France. All’epoca non si trattava di piatti elaborati, bisognava solo fare la pasta per tutte le squadre che non avevano un cuoco, cioè quasi tutte. L’incarico era di un mese: tre settimane di corsa e una prima per gli addetti ai lavori. Non ci volevo andare, mi hanno dovuto veramente convincere e costringere perché temevo di perdere quello che avevo costruito negli stellati”.
“Come prima squadra – racconta – mi è capitata la Movistar, a cui mi assegnavano spesso. Eravamo quattro chef, tre colleghi erano interni e io esterno: quindi giravo un po’ tutte le squadre. L’Amaury Sport Organisation (ASO), l’organizzazione del Tour de France e di altre competizioni mondiali, ci mandava negli hotel a controllare le cucine, che gli ingredienti fossero freschi e le paste giuste. Lì ho visto la parte peggiore del mio lavoro. Ci sono stati casi in cui mi presentavo, chiedevo agli albergatori di vedere le cucine e i prodotti e loro mi dicevano che era tutto già pronto. Quindi ho dovuto fare il Cannavacciuolo della situazione e dire di buttare immediatamente la pasta congelata. Penso che mi abbiano odiato tantissimo”.
Da Cannavacciuolo mi sono preso tante pacche
Negli ultimi cinque anni Antonio ha conosciuto fuoriclasse come Alejandro Valverde e Peter Sagan e oggi, per il secondo anno di fila, cucina per Vincenzo Nibali e la sua squadra “Per fortuna si è trovato bene il primo anno!”. Il cuoco lo decide il campione, in questo caso Nibali. Nella pratica, la giornata di lavoro tipo dello chef dei ciclisti dura dalle 6.30 del mattino fino alle dieci di sera, ma non passa tutto il tempo in cucina. “Preparo la colazione e mentre loro sono in bici io e lo staff li anticipiamo nell’hotel dove mangeranno la sera. Arrivato lì parlo con i cuochi e organizzo la sala, poi si fa un check della spesa e se manca qualcosa si prendono provviste per la cena e la merenda del giorno dopo”.
La cosa più bella – ammette – è quello che si impara lavorando così: “Vedo un sacco di cucine, luoghi e prodotti che altrimenti non avrei l’opportunità di conoscere. La nutrizionista mi dice quali alimenti usare poi penso io a come cucinarli, anche in base a cosa offre il territorio. Due o tre antipasti, insalata, bruschette, prodotti freschi locali. Se siamo nel Nord della Spagna prendo il polpo buono e lo faccio in insalata o alla gallega, se siamo al Sud scelgo il pesce spada. E così via”. Antonio lavora 150 giorni all’anno, e per il resto del tempo vive nella sua amata Valencia. “Non avevo in programma di andare a all’estero. Mi è capitato per caso come molte delle belle occasioni della mia vita e ho potuto scegliere”.