Erano passati 18 mesi dal referendum sulla Brexit che aveva messo definitivamente l’Europa di fronte all’avanzata dei cosiddetti sovranisti e poco più di un anno dalle elezioni che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca. Oltre a queste prime vittorie dei nuovi nazional-populismi, sul nostro continente e sugli Stati Uniti si era posata la cappa dell’ingerenza esterna a suon di fake news, diffuse soprattutto via social, sulle prossime campagne elettorali in Italia e in Europa. Così la Commissione europea, con la supervisione della commissaria per l’agenda digitale, Mariya Gabriel, decise di istituire, a gennaio 2018, un Gruppo di alto livello sulle fake news e la disinformazione online composto da 39 membri, tra cui quattro italiani, provenienti dal settore della comunicazione e dei social media per produrre un report, un vademecum che dettasse le linee guida per il contrasto alla disinformazione online. Tre mesi di lavoro e solo quattro incontri prima della pubblicazione di un report viziato, come scritto in un’inchiesta di openDemocracy, da pressioni delle grandi multinazionali del web che avevano loro uomini all’interno del team. “Ho provato a denunciare le pressioni che ho ricevuto ai miei colleghi – ha raccontato a ilfattoquotidiano.it Monique Goyens, direttore generale dell’Organizzazione europea dei consumatori (Beuc) – Ma nessuno ha alzato la voce”.
Siamo a gennaio 2018 quando Mariya Gabriel presenta il progetto pubblicamente. Annunci, eventi e interviste per quella che è stata definita la task force contro la fake news, un gruppo di esperti del settore della comunicazione e dei social media che avrebbe dovuto cooperare per stilare un elenco di buone pratiche e individuare le possibili iniziative politiche da intraprendere per il contrasto alla disinformazione online. Un team composto da 39 membri, al cui interno si trovano docenti di prestigiose università europee, manager dei principali media internazionali, organizzazioni impegnate nella salvaguardia della corretta informazione e, ovviamente, rappresentanti di Google, Twitter e Facebook. Gli italiani sono quattro: ci sono il professor Oreste Pollicino della Bocconi, Gina Nieri, dirigente Mediaset, e gli unici due indicati come giornalisti, Gianni Riotta de La Stampa e Federico Fubini del Corriere della Sera.
Il risultato dei quattro incontri del gruppo di esperti nell’arco di due mesi, a cui si somma la collaborazione da remoto, ha prodotto un documento di 40 pagine in cui vengono elencati i principali settori d’azione e proposte buone pratiche per aumentare la consapevolezza dei fruitori di notizie e la credibilità degli operatori del settore. Nell’ultima pagina si legge che la stesura finale è stata approvata da 38 dei 39 membri, con proprio Goyens che ha votato contro. Nel documento è presente anche la motivazione della rappresentante del Beuc: “Beuc vota contro la relazione perché crediamo che l’esposizione dei consumatori alla disinformazione debba essere affrontata all’origine – si legge – L’assenza nel report di qualsiasi riferimento a una delle principali fonti potenziali di disinformazione, il clickbaiting, è inaccettabile. La volonta del Beuc era quella di valutare, attraverso un’inchiesta di settore che riteniamo fondamentale, il legame tra le politiche di raccolta pubblicitaria delle piattaforme web e la diffusione di disinformazione”.
Proprio l’inchiesta di settore proposta da Goyens e da altri membri del gruppo è al centro delle “minacce” ricevute dall’esperta da parte del rappresentante di Facebook, Richard Allan, e anticipate da openDemocracy: “Durante una pausa della prima riunione – ha raccontato Goyens a IlFatto.it – e dopo aver proposto, insieme ad altri colleghi, l’avvio di un’inchiesta di settore sulle politiche sulla concorrenza, sono andata a prendere un caffè. Lì c’era anche il rappresentante di Facebook, uno di quelli che si era opposto duramente alla proposta. Allora gli ho chiesto ‘perché ti stai opponendo così duramente a un’inchiesta di settore?’. Lui, visibilmente infastidito, mi ha detto che se non avessimo smesso di insistere su quel punto, si sarebbero messi di traverso, col rischio di far saltare il tavolo. ‘Non toccate il nostro modello di business o non collaboreremo’, mi ha detto. Ho una lunga storia di lobbying alle spalle e sono abituata a confrontarmi, anche scontrarmi con altri portatori di interessi, ma questa è la prima volta che sono rimasta scioccata dai toni”. Goyens ha poi raccontato di essere immediatamente andata a riferire tutto alla presidente del gruppo, Madeleine de Cock Buning, e ai colleghi. Qui il racconto di Goyens si interrompe perché è tenuta a rispettare il segreto professionale riguardo a tutto ciò che viene detto e proposto all’interno delle riunioni del gruppo. Fonti interne confermano a ilfattoquotidiano.it che il messaggio della rappresentante del Beuc è arrivato ai colleghi e che per un po’ si è provato a proporre l’avvio dell’inchiesta. OpenDemocracy, che cita fonti anonime, riporta però che sia da Facebook che da Google sarebbero arrivate pressioni anche economiche nei confronti di altri membri del gruppo, rappresentanti di realtà che dai colossi del web ricevono dei finanziamenti.
Se confermato, un ostruzionismo di tale portata avrebbe giustificato non solo una presa di posizione forte da parte della Commissione che, da quanto apprende IlFatto.it, è stata informata dei fatti, ma anche una denuncia pubblica da parte dei membri del gruppo, in particolar modo da coloro che vengono indicati come giornalisti, ossia Riotta e Fubini, visto che nella sintesi del rapporto si legge chiaramente che “ogni forma di censura, che sia pubblica o privata, deve essere chiaramente evitata”. Mentre Fubini, contattato da Ilfatto.it, ha preferito non commentare la vicenda, Riotta ha fornito una versione diversa da quella della collega Goyens: “Non ho mai sentito parlare di pressioni – ha dichiarato – Né la Commissaria o gli amici Pollicino e Fubini, con cui spesso chiacchieravo, me ne hanno mai parlato. Se ci fossero state, sarebbe gravissimo e chi le aveva subite doveva informare il nostro panel subito. Le avremmo denunciate insieme e con forza. Come Divina Frau-Maigs e altri membri, penso che i colleghi, pur diversi tra loro, abbiano lavorato con onestà intellettuale e che il documento finale sia dunque un buon punto di partenza in Europa. Io ho dichiarato che il ruolo di Facebook e della Russia nella disinformazione andava messo in rilievo con maggiore forza e ho agito in tal senso sempre. Se fossero documentate ingerenze indebite, dovremmo chiedere trasparenza assoluta a tutti”.