“La Fiat di Sergio Marchionne non voleva avere lacci e lacciuoli in Italia. Sistemò la faccenda in qualche modo con i sindacati per fare le operazioni internazionali che poi ha fatto. È incredibile come una classe dirigente diffusa abbia creduto e continui a credere alla favola che così manteniamo un’industria nazionale dell’automobile. Sentiremo parlare di altre vendite o totali o parziali di pezzi del gruppo Fca e ancora non avremo un’idea di cosa vogliamo che si produca in questo Paese”. È tranchant il giudizio di Giorgio Airaudo, redivivo membro della segreteria Fiom piemontese dopo la parentesi parlamentare con Sel nella scorsa legislatura. Non risparmia né i sindacati firmatari del contratto Marchionne né la classe dirigente italiana che ha creduto alle promesse vuote di imprenditori interessati, più che al rilancio del tessuto imprenditoriale del Paese, ai benefici di breve termine che il Paese poteva offrire. Ammortizzatori sociali, sussidi e concessioni inclusi. E Torino, insieme al resto del Paese, non potrà rimandare ancora i conti con le prospettive del gruppo Fiat e dell’auto che ancora oggi rappresenta quasi l’1% del Pil nazionale e dà lavoro a 120mila persone nel solo Piemonte.

Cinquant’anni dopo l’autunno caldo, l’Italia è ancora appesa agli Agnelli?
Gli Agnelli hanno fatto i loro interessi, qua siamo di fronte ormai a più stagioni di classi politiche che hanno voluto credere che gli asini volavano. Nessuno li ha costretti a una discussione vincolante … è evidente che quest’azienda non è più un’azienda solo italiana o torinese. Tra l’altro John Elkann ha detto più volte negli anni che se loro trovassero qualcuno con cui allearsi e la proprietà degli Agnelli si diluisse … tutto torna. Penso che il modello eventuale di un’alleanza per Fiat sia quello già testato con La Stampa dove la famiglia si è diluita e ha ridotto i rischi di perdite che il giornale ha in genere.

Colpa di Sergio Marchionne?
Sergio Marchionne garantiva sul piano finanziario, è stato molto abile a rimettere a posto i conti dell’azienda e a non far rischiare la proprietà: con lui gli Agnelli non ci hanno rimesso nulla, non hanno reinvestito nell’azienda, continuano a ritirare cedole, anche adesso. E il caso Magneti Marelli va in questo solco: l’incasso dalla vendita non verrà reinvestito nel gruppo… Sempre che incassino tutto. In questo senso vanno sia il dividendo straordinario da 2 miliardi staccato ai soci, sia le indiscrezioni sull’accordo con Tesla per far tornare i conti sulle quote verdi. Marchionne aveva una strategia che ha allontanato la Fiat dall’Italia, dove ha illuso che Torino o Milano avrebbero trainato lo sviluppo.

E invece?
Stanno consumando l’ultima illusione, con una città che se la beve, quella dell’auto elettrica. Con Fiat che arriva per ultima sull’elettrificazione, con un ritardo che difficilmente è colmabile nel medio periodo. Penso che l’arrivo all’auto elettrica in Fiat sia più legato ai nuovi vincoli Ue sulle emissioni e al rischio multe limitabile solo con una flotta che include l’elettrico che quindi conviene produrre indipendentemente dalle attese sulle vendite: le multe scattano dal 2019 e gli standard da rispettare sono a scaglioni crescenti. Non a caso appunto in queste settimane si parla di un accordo miliardario con Tesla che abbassi la media in casa Fca.

Quindi insomma, un deserto di idee che va verso un deserto imprenditoriale?
Torino ne dovrebbe discutere. Dagli anni ottanta ad oggi, attraversando quella che è stata l’evoluzione del mondo, abbiamo vissuto in una specie di piano inclinato. Io penso che il piano sia inclinato verso una rottura. Probabilmente siamo alla vigilia di un salto che sarà la cessione di alcuni brand, di un’attività, o la diluizione della proprietà storica, tenendo la produzione di automobili con un altro azionista di riferimento. Io penso che questa discussione dovrebbe essere al centro dell’agenda politica… Anche perché l’automobile è ancora un pezzo importante del Pil di questo Paese.

Eppure si parla d’altro …
Discutiamo di alta velocità, di una cosa di trent’anni fa che è andata avanti lentissimamente e di cui non si sa se davvero c’è questo bisogno, non si sa quali merci dovrebbero andare velocemente tra questi corridoi, e non si vedono famiglie o gruppi imprenditoriali che si preoccupino della salvaguardia di quello che c’è, si vedono molte avventure. Abbiamo avuto l’avventura delle carrozzerie con un imprenditore di origini torinesi come Rossignolo che era uno anche anomalo rispetto al circuito Fiat, e abbiamo avuto invece l’avventura e la disavventura con la Blutec che ha l’epicentro a Termini Imerese, ma che ha stabilimenti anche in Piemonte e in Abruzzo. E che è tutta interna al sistema di forniture Fiat, perché i proprietari della Blutec sono storicamente dentro al sistema feudale della distribuzione della componentistica storica torinese, e quindi hai l’idea proprio della decadenza.

Nonostante le elezioni alle porte?
Si, il futuro di questa vicenda dovrebbe essere al centro dell’agenda delle regionali, invece c’è il Tav. Tra l’altro il primo comitato promotore del Tav annoverava anche un carrozziere torinese, Sergio Pininfarina, legato in qualche modo alla famiglia Agnelli. Allora si parlava di volumi che giustificavano l’opera che si sono rivelati sbagliati. Io penso che il Tav non serva, mi autodenuncio, sono un no Tav, ma lo dico e anche chi vorrebbe il Tav dovrebbe dirci cos’altro si fa. Ho la sensazione che questa discussione copra il buco. Che è l’assenza di idee della borghesia industriale, della manifattura torinese: il buco è l’assenza di futuro della Fiat. Per altro registro che sulla vicenda del Tav la Fiat non si è espressa particolarmente, vogliono avere un basso profilo, come se volessero rendersi invisibili, perché penso che stiano preparando altre cose…

Però c’è chi sostiene che la Tav sia un’opportunità di sviluppo…
Se dovessi dire che c’è un luogo, in qualche modo la vicenda della Tav è un totem, perché nasconde questa assenza di progettualità, di alternative. Io penso che se ci si concentra sulla Tav è perché non si ha nessuna idea, perché si è in qualche modo orfani delle strategie… per certi versi Marchionne ha avvelenato i pozzi, ha illuso questa città che nel ridisegno mondiale del gruppo Fiat, nella presa dell’America da parte del gruppo Fiat – anche se in realtà è l’America che si prende la Fiat -, in qualche modo ha illuso che ci fossero delle soluzioni, che ci fossero dei risultati.

Perché, com’è andata davvero?
Dire non produrrete più utilitarie ma farete le auto del lusso si è dimostrata un’illusione anche per questa città, questo è un progetto ormai rimosso, non ne parla più nessuno. Io temo che l’elettrico farà la stessa fine, tra due anni ne parleremo come parliamo del lusso. Penso che Marchionne gli abbia allungato la vita, però i nodi irrisolti vengono tutti al pettine. La situazione è diversa, il futuro di Fiat non è più legato all’Italia. Oggi la parte più interessante non è più quella italiana, ma quella americana che è quella dove fanno i profitti. In altri Paesi questo sarebbe oggetto di pubblico dibattito: in verità ormai è una borghesia apolide che non ha un legame né con il territorio nazionale né con la sua città, che lascia orfani i suoi vassalli e la Tav è diventata il tappo che copre questo buco. Però il grido d’allarme per me è che il lento declino torinese, che la città fabbrica rischia di arrivare alla fine delle corsa. Forse più che della Tav qui bisognerebbe discutere di quanto gli attuali proprietari della Fiat siano interessati a Torino e in che modo. Quindi fare una discussione più approfondita che non sia solo lo sberluccichio dell’auto elettrica.

Eppure i piani industriali promettono bene
In Italia siamo per lo più agli annunci, inclusa la cig fino al 2021/22, dopo di che sono attesi gli investimenti. Ma da qui al 21/22 è facile prevedere novità sugli assetti proprietari e nel momento in cui arriva un nuovo socio, si sa che i piani diventano carta straccia in due minuti.

E se anche non fosse?
Come abbiamo celebrato che ci compravamo l’America e invece era il contrario, qua rischiamo che celebriamo l’arrivo dell’auto elettrica ma noi siamo gli ultimi. Applaudiamo all’ultimo che ci arriva e per di più lo fa più per evitare le multe Ue. In questa crisi di vocazioni imprenditoriali abbiamo imprenditori di quel sistema che improvvisamente, anche se hanno una lunga storia, diventano rapaci. Improvvisamente nel senso che dieci anni fa nessuno l’avrebbe detto: erano coperti da un sistema che produceva talmente tanti vantaggi che una quota di spregiudicatezza era tollerata dal sistema. Oggi non c’è più ciccia intorno all’osso, quindi resta solo la parte rapace. E così invece di essere borghesia illuminata che fa qualcosa per il suo territorio, porta via quel poco che è rimasto o lo lascia deperire, non si preoccupa o prende la pelle dell’asino, prende l’ultimo che si può prendere.

Di chi è la responsabilità di questa agonia industriale?
Il tema è: perché le classi dirigenti di questo Paese si fidano ancora di questa borghesia decaduta? Avremmo bisogno di una discussione pubblica, di cosa fare di questi prodotti… la cosa vera, come ci siamo bevuti che conquistavamo l’America, come ci beviamo che facciamo le auto di lusso a Torino e come ci proviamo a bere che diventeremo il polo dell’elettrico. Per diventare il polo dell’elettrico bisogna sapere quanto si investe, servono molti soldi, bisogna sapere che impegni prende lo stato dal punto di vista delle infrastrutture, bisognerebbe avere un’altra agenda, che non c’è. Penso che Torino sia emblematica, stiamo andando alle regionali e sembra che il futuro di questa regione sia legato a una grande opera iniziata trent’anni fa e che dovrà finire tra vent’anni.

Ma gli Agnelli restano ancora un riferimento nella regione?
Pesano molto, tieni conto che parliamo ancora di 30-40mila dipendenti su 80mila in Italia. Poi c’è un indotto, stai anche bassa, vuol dire 100mila persone oltre i 30mila. Per altro sai in questi mesi c’è la cig in attesa dell’ennesimo piano industriale, ma abbiamo molti giovani precari che vengono lasciati casa che non vediamo più perché precari quindi non sono licenziamenti quello che registro è che mi sembra che siamo a un’accelerazione di questa crisi. Cioè la crisi della borghesia torinese non inizia oggi.

Cosa significherebbe per Torino perdere definitivamente la Fiat?
Non credo che 30mila persone scompariranno da un momento all’altro, ma la discussione non è pubblica … mi ha molto colpito che nell’autunno a un certo punto Chiamparino e l’Appendino cedettero all’idea spinta dal sindacato, Fiom in primis, di fare dei consigli comunali e regionali aperti invitando la Fiat. La Fiat ha detto che non veniva? Loro non li hanno fatti. Io al posto loro li avrei fatti lo stesso. C’è l’idea che non si disturba il manovratore, ma forse non c’è più il manovratore. La cabina è vuota.

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