Ci sono le tende davanti al Parlamento europeo. Per terra, lo striscione Friday for future, sfondo verde, continenti in bianco. Intorno, si agitano ragazzi in bermuda. Sono i “Gretini” (ovvero, seguaci di Greta) che non avranno rappresentanza nell’Europa che uscirà stasera dalle urne. Sopra di loro, ci sono le immagini simbolo di queste elezioni, quelle riprese dallo spot con i neonati che si augurano di crescere in Europa. E poi, le luci psichedeliche e gli spazi per le dirette e i dibattiti: tutto pronto per la notte elettorale. Eppure, Bruxelles sembra attraversata da tensioni centripete, crocevia non solo dell’europeismo che è stato e che sarà, ma anche di tutto quello che fino ad oggi è rimasto fuori. Sabato, proprio sotto la sede del Consiglio, manifestano gli algerini, contro la dittatura in patria. Ovunque, a Matongé, il quartiere congolese, tutta una vetrina di stoffe coloratissime intorno alla chiesa di Saint Boniface, si sentono riecheggiare i tamburi.
Da venerdì si sono dati appuntamento negli uffici della delegazione del governo catalano presso la Ue, i leader di quella Regione: venerdì il presidente catalano, Quim Torra è stato ricevuto dal suo predecessore, Carles Puigdemont. Strategie politiche in attesa dei risultati in patria di oggi. Ma soprattutto di quelli europei: oltre allo stesso Puidgemont, dovrebbe essere eletto Oriol Junqueras, leader di Erc e di Ahora Repúblicas che si trova in prigione da quasi due anni. La Spagna gli concederà le credenziali per poter essere presente in Parlamento? La questione dei leader catalani in carcere con l’accusa di ribellione, disobbedienza e malversazione di denaro pubblico, dopo il referendum per l’indipendenza del 2017 non è mai entrata davvero nell’agenda europea: stavolta lo sarà?
Intanto, i ragazzi di Volt Belgio chiudono la loro campagna nelle Fiandre: alla prova l’europeismo estremista e rampante del primo Movimento transnazionale. Giovani di belle speranze, un po’ lontane dal vento che soffia. A Place de Luxembourg le sere della vigilia, la fanno da padrone jazz e street food: il palco per strada ricorda kermesse estive, tipiche di Capitali più a sud. Fuori dai locali di Place Jourdan, area urbana appena rimessa a nuovo, luogo di ritrovo trasversale, campeggia la scritta: Frites acceptees. Tradotto: ci si può sedere per bere una birra, portandosi dietro i propri cartocci di patatine fritte. Tendenze.
Domenica pomeriggio, mentre arrivano gli exit poll di tutta Europa, i leader cominciano a muoversi verso Bruxelles. Ovvero, i leader europeisti: Frans Timmermmans, Margarethe Vestager, Max Weber, Ska Keller. Gli altri, quelli della rivoluzione sovranista o populista, qualsiasi cosa si intenda, verranno nei prossimi giorni. Le vere star, come l’inglese Nigel Farage che stravince, nonostante sia alla guida del Brexit Party. Paradossi. E poi, il premier ungherese, Viktor Orban, che aspetta l’ultimo minuto per decidere il suo futuro: se il Ppe arriva di poco sopra al Pse sarà determinante e resterà dentro. Altrimenti, potrebbe uscire e diventare l’ago della bilancia delle tendenze dissolutive della Ue. Più importante di quella Marine Le Pen, che non vuole come alleata, ma che si avvia ad essere un’altra vincitrice di questa tornata elettorale. E poi, c’è Matteo Salvini. Un anno fa si sognava imperatore dell’Europa; oggi si avvia a vincere nelle urne, ma a perdere nella realtà. Il risultato non dovrebbe essere sufficiente per mandare all’aria il governo gialloverde e per permettere alla Lega di volare davvero. E in Europa, il suo peso sarà comunque relativo. Per ora.
Perché, comunque vada, la dialettica tra aggregazione e disgregazione, tradizione e cambiamento (quale?) è iniziata. Un piano inclinato. Dove arriva, chi lo sa. Elargissons notre vision pour le future, “Elargiamo la nostra visione per il futuro”. Così recita la scritta su un murale a Matongè, che raffigura, vicini, un ragazzo africano e una ragazza bianca. Più enigmatico, ma anche più intrigante delle bandiere con le stelle gialle e lo sfondo blue, che si vedono un po’ ovunque nelle strade della città.