Nonostante la scelta della Shernon holding come compratore di Mercatone Uno risalga al maggio 2018, quando era ancora ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda torna ad attaccare Luigi Di Maio per la vicenda del fallimento della catena di distribuzione di mobili. “Le parti avrebbero potuto constatare tempestivamente l’inadempimento se vi fosse stato da parte del Ministro in prima persona un impegno politico“, scrive in una nota l’esponente Pd, che già sabato aveva accusato il leader M5s di non essersi “accorto” della crisi. “Esistevano le condizioni per evitare il fallimento così come è accaduto con le acciaierie di Piombino prima cedute a Rebrab e poi Jindal“, sostiene l’ex ministro e promotore di Siamo Europei. “Ci vuole cura, lavoro e la presenza del Ministro ai tavoli di crisi”. Il M5s sul blog delle stelle risponde con un post intitolato “Mercatone uno è l’ultimo disastro del Partito Democratico e di Carlo Calenda”, definendo la vicenda “l’esempio perfetto del Paese in macerie che abbiamo ereditato dal Partito Democratico”.
“Al momento della cessione di Mercatone Uno”, ricorda Calenda, “è stata inserita una clausola di salvaguardia (riserva di proprietà) data la fragilità dell’acquirente, che può riportare sostanzialmente la società in Amministrazione Straordinaria se vi sono gravi inadempienze da parte della nuova proprietà”. Ed è proprio quel che è successo: il contratto di vendita dell’agosto 2018 comprendeva un “patto di riservato dominio”, che subordina l’acquisizione del diritto di proprietà al pagamento dell’intero prezzo definito. Il curatore fallimentare Marco Angelo Russo è stato di conseguenza autorizzato dal giudice delegato a restituire l’azienda all’amministrazione straordinaria che, “in quanto proprietaria dell’azienda, potrà assumere le più opportune decisioni” e trattare direttamente con i commissari “al fine della conservazione, movimentazione e vendita del magazzino in un’ottica di leale collaborazione tra le procedure”.
I Commissari straordinari delle società del gruppo Mercatone Uno dal canto loro hanno fatto sapere che “stanno valutando, congiuntamente agli altri organi delle procedure coinvolte, le migliori soluzioni possibili per la salvaguardia occupazionale ed il ricorso agli ammortizzatori sociali previsti dalla vigente normativa in materia”. Per lunedì 27 è stato convocato un tavolo al Mise “anche a fare chiarezza sulla responsabilità della proprietà nella loro gestione”, come annunciato da Di Maio.
La situazione di Mercatone era molto simile a quella di Piombino. Occorreva monitorare e verificare settimana per settimana la situazione. Di Maio non ha fatto neanche una riunione. Ora cercate di uscire dalla modalità tifo calcistico e chiedere conto ai vostri rappresentanti. https://t.co/tzr8TiSrNR
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) 26 maggio 2019
I commissari ricordano in un comunicato che “nonostante le oltre 50 manifestazioni di interesse ricevute nel 2015, in apertura di Procedura, l’unico soggetto che ha proposto la continuità aziendale del core business di Mercatone Uno, a seguito di tre esperimenti di gara pubblica, è risultato Shernon Holding”. Il cui amministratore delegato Valdero Rigoni era tuttavia già stato amministratore di una società dichiarata fallita nel 2014. I commissari governativi evidenziano anche che “in ogni caso, nonostante il fallimento di Shernon Holding, la consistenza patrimoniale del gruppo Mercatone Uno non è stata pregiudicata”.
Il blog delle Stelle ripercorre le tappe della vicenza ricordando che “la crisi del marchio italiano inizia nel 2015, in pieno governo Renzi con Federica Guidi al vertice del Ministero competente, ma è il suo successore Calenda che a inizio 2018 conclude l’istruttoria e sancisce l’acquisizione di 55 punti vendita da parte di Shernon, società con appena 10.000 euro di capitale. Calenda si fida di Valerio Rigoni, amministratore delegato di Shernon, e non pretende nemmeno la presentazione di uno straccio di piano industriale. Gli basta l’assicurazione che dietro la società acquirente ci siano partner pronti ad un aumento di capitale, i quali però quando capiscono la fragilità del progetto si tirano indietro lasciando Rigoni solo davanti ai creditori”.