Il Movimento 5 stelle resta il primo partito a Taranto. Nella città dell’ex Ilva, il “tradimento” del Governo sulla chiusura delle fonti inquinanti genera una perdita di consenso rispetto alle elezioni politiche del 2018, ma non il crollo che in tanti immaginavano. Alle Europee nel capoluogo ionico il M5s raccoglie 17845 voti che valgono il 27,77%. Il confronto rispetto a cinque anni fa è positivo: solo tre preferenze in meno. Diverso, invece, è il paragone con il 4 marzo 2018: in quella occasione con un plebiscitario 50% i Cinquestelle avevano fatto incetta di voti eleggendo ben 5 parlamentari. Ciò che è accaduto dopo è noto: le promesse di chiusura delle fonti inquinanti che avevano raccolto consensi si sono scontrate con le difficoltà, una volta al governo, e una parte delle associazioni tarantine si sono rivoltate contro quelli che definiscono “traditori”. Ed è principalmente per questo che nell’opinione pubblica Luigi Di Maio era destinato a registrare un clamoroso tonfo che, tuttavia, non c’è. Il Movimento, come detto, cala ma non crolla.

Forse il peso elettorale di associazioni ambientaliste e dello stesso “Comitato cittadini Liberi e pensanti” non è quello ipotizzato finora. Del resto anche i Verdi a Taranto, nonostante l’impegno costante degli anni scorsi di un leader come Angelo Bonelli, non sono mai riusciti a sfondare e nell’ultima tornato hanno ottenuto il 7%. Un’altra ipotesi è che la visita di Di Maio a Taranto lo scorso 24 aprile nel quale ha annunciato le azioni che saranno compiute per diversificare l’economia ionica, al momento legata mani e piedi all’industria siderurgica, sia stata efficace.

Quel giorno, accompagnato da ben quattro ministri, Di Maio definì tre percorsi: il primo su “Innovazione, lavoro e imprese” che sarà coordinato proprio dal Mise e dal ministro Lezzi. Il secondo sulla “riqualificazione urbana” a cura del ministro Bonisoli e infine quello su “Salute e ambiente sociale” che sarà gestito dai ministri Costa e Grillo. In quell’occasione promise di tornare il 24 giugno, a prescindere dal risultato elettorale delle europee.

Infine un dato di non poco conto è la percentuale dei votanti. A Taranto, ancora una volta il vero vincitore è l’astensionismo: alle urne si è recato solo il 42% degli aventi diritto. Una buona parte della città, rassegnata o indolente, ha scelto di non esercitare il proprio diritto di voto.

Nella terra dell’acciaio, la seconda notizia eclatante è il 25% della Lega che diventa il secondo partito della città. Un fenomeno non del tutto inatteso visto che anche la famiglia Cito ha abbracciato Matteo Salvini. Eppure c’è stato un tempo in cui Giancarlo Cito, ex sindaco e parlamentare poi condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa, con la sua lista civica combatteva – anche fisicamente – la Lega Nord di Umberto Bossi che a Chioggia chiedeva la secessione. Pochi giorni fa, invece, Mario Cito, figlio ed erede di Giancarlo, pubblicava sui social il selfie con il ministro dell’Interno mentre la stessa Lega si affannava a smentire qualunque alleanza con i Cito.

L’ultima nota dal capoluogo ionico, infine, è il risultato del Partito democratico: i dem di Zingaretti pagano ancora i danni collaterali dell’inchiesta su Ilva “ambiente svenduto” che pur non avendo ufficialmente coinvolto esponenti del partito, ha svelato la rete di contatti su cui i Riva potevano contare anche nel Pd. Alle urne il Pd supera di poco il 17%: un esito imparagonabile con il 36% conseguito nel 2014, ma che è un piccolo segnale di ripresa rispetto al 13% delle politiche 2018.

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