Una brutta batosta, per me che ho partecipato da candidato del Movimento 5 Stelle alle elezioni per il Parlamento Europeo credendo alla linea politica scelta da Luigi Di Maio, una sinistra moderna, non compromessa con i ‘poteri forti’ e che pensa ai cittadini. Adesso, senza alcun cinismo, dopo l’ubriacatura di numeri, alcuni punti sembrano incontrovertibili. 1) Il vincitore assoluto è Matteo Salvini, che ha portato la Lega in 5 anni dal 6% al 34%, primo partito italiano. 2) Con un colpo di reni che non ha precedenti nella nostra storia, l’Italia svolta a destra. 3) Il MoVimento 5 Stelle, collassato malamente al 17%, è destinato ad avviarsi verso una crisi lacerante. 4) Se Di Maio fosse un vero leader, darebbe subito le dimissioni. 5) Il Pd di Zingaretti al 22,7%, con la buona affermazione di Calenda si sposta al centro, ma senza alleati non va da nessuna parte. 6) Cade l’ipotesi di un supergoverno tecnico di emergenza affidato a Mario Draghi.
Facciamo un passo indietro. Silvio Berlusconi, nella sua sicumera senile da miliardario, in un’intervista pre-elezioni si era lasciato scappare che Mario Draghi, presidente della Bce in scadenza, sarebbe un ottimo candidato per “un’alta responsabilità” in Italia. Il premier ideale a Palazzo Chigi al posto di Giuseppe Conte. Il quale Conte, da oggi, avrà vita molto difficile, come capo di un governo a contratto in cui i due contraenti hanno ruoli specularmente ribaltati (Lega al doppio dei voti del M5S) rispetto al 4 marzo 2018. Qui sul Fatto avevo già parlato delle voci romane su un piano segreto per nominare Draghi senatore a vita e poi capo del governo.
La verità è che il disegno antidemocratico di chi voleva far fuori il litigioso esecutivo M5S-Lega a questo punto non ha alcun senso. Il governo pentaleghista regge fin quando Salvini non farà saltare i nervi a Di Maio, il quale dopo la disfatta incassata domenica o diventa al 100% succube del Carroccio (il che sarebbe suicida) oppure dovrà dire no ad alcuni dei provvedimenti chiave della Lega (autonomie, flat tax, grandi opere) per non perdere altri milioni di voti. Un solo no, equivale a crisi. I 5 Stelle sono quindi nell’angolo. Eppure, una nuova maggioranza al Parlamento italiano non si vede. Ergo: si va a elezioni anticipate.
Con un Silvio Berlusconi impaurito e sotto il 9%, cade in ogni caso lo scenario del semigolpe come quello che fece Giorgio Napolitano nell’ autunno 2011, quando il Quirinale nominò senatore a vita Mario Monti prima di installarlo a Palazzo Chigi. La partita dei “conservatori” e dei “poteri forti” si gioca ora sul ricacciare il M5S all’opposizione e su che tipo di governo di destra dare al paese. Sul tema, Paolo Mazzanti, direttore dell’agenzia Askanews controllata dall’imprenditore romano Luigi Abete, fa sapere che ulteriori “alte responsabilità”, oltre a quelle di capo del governo, per Draghi non sono all’orizzonte (il mandato di Sergio Mattarella al Colle scade nel 2022) “mentre tutti pensano che dopo le Europee potrebbe esserci una crisi di governo”. Va detto poi che le dichiarazioni di Silvio hanno provocato un effetto collaterale immediato. La tenace Giorgia Meloni ne ha approfittato, scaricando Forza Italia e puntando per il dopo-europee ad un’asse a due con la Lega di Salvini. La Meloni, forte del buon risultato elettorale (il 6,5%), sapendo di poter giocare in Champions, non ha dubbi e lo ha detto chiaramente: a) insieme alla Lega, FdI avrebbe oltre il 40% dei voti necessari per il premio di maggioranza in caso di scioglimento anticipato delle Camere dovuto a una crisi di governo; b) se Silvio vuole accodarsi come stampella, bene, altrimenti il centro-destra diventerebbe destra-destra. c) d’ora in poi – pensa la Meloni – sarà impossibile fare accordi con un partito come Forza Italia che tifa per Draghi a capo del governo.
In sostanza, la dura realtà pare essere: meglio un governo politico di destra a guida Salvini piuttosto che dar seguito ai piani del blocco di potere che punta ad avere il presidente della Bce a Palazzo Chigi. Non è pensabile che un banchiere centrale, ex Goldman Sachs ed ex governatore della Banca d’Italia, possa avere un qualsiasi ruolo a Roma dopo il pensionamento a Francoforte. Circa lo stato di salute del governo Conte, il problema è semplice e drammatico allo stesso tempo. Stando al responso delle urne, Luigi Di Maio ha fallito clamorosamente due volte: la prima con la linea governista che ha impresso al M5S accettando la coabitazione con la Lega; e la seconda con lo spostamento a sinistra nell’ultimo mese di campagna elettorale, soprattutto dal caso Siri in poi. Eppure la verità è che almeno fin quando Di Maio non farà un gesto clamoroso, passando la mano e aprendo una crisi lacerante, a questo atipico e ormai fragile equilibrio di potere tra Lega e Cinque Stelle non esistono al momento alternative.
La domanda finale che nel dopo voto bisognerebbe porsi è: eliminata l’ipotesi di un supergoverno tecnico che in autunno vari la nuova legge di bilancio e un’altra sfiancante policy da “lacrime e sangue”, con provvedimenti drastici di austerity che faranno soffrire gli italiani in stile Monti, è pensabile che Salvini voglia assumersi questa responsabilità? Sarebbe da escludere. Per cui l’ipotesi è che Matteo si senta tanto forte da arrivare alla rottura con la nuova Commissione Ue sulla legge di bilancio, magari prima di andare all’incasso chiedendo a Mattarella nuove elezioni anticipate il 29 settembre.