L'unione tra il gruppo francese e quello italoamericano consente al primo di avere una testa di ponte negli Usa e al secondo di accedere a tecnologie costose da sviluppare, come elettrico e self driving car. Più forti in Europa, anche se c'è da sciogliere il nodo occupazione, ma ancora deboli in Cina. E sullo sfondo resta la questione politica, che potrebbe coinvolgere i governi di Roma, Parigi e Washington. E anche Tokyo
Fusione FCA-Renault: un’operazione di cui il compianto Sergio Marchionne andrebbe probabilmente fiero e che, forse, se la sorte non fosse stata così severa col manager di origine abruzzese, avrebbe potuto costituire l’ultimo coup de théâtre industriale e finanziario del dirigente scomparso la scorsa estate. Era nell’aria che FCA fosse diventata la Cenerentola dell’automotive: conti in ordine, forte presenza negli Stati Uniti, brand di assoluto valore strategico (come Jeep) o dall’enorme potenziale (come Alfa Romeo e Maserati), nonché un tesoretto da circa 2 miliardi di euro, avanzo della vendita di Magneti Marelli a Calsonic Kansei.
Ce ne sarebbe stato abbastanza per camminare da soli se non fosse che il portafoglio di prodotti FCA langue, che il gruppo italoamericano è parecchio indietro su elettrificazione e guida autonoma – tecnologia costosissime da sviluppare – e che in Cina il business di Fiat Chrysler è assai limitato. Da qui la recente battuta di Mike Manley, numero uno del gruppo: “Credo che onestamente nei prossimi 2 o 3 anni ci saranno significative opportunità di partnership e alleanze nell’auto a livello globale e Fca avrà un ruolo costruttivo, attivo e proattivo nel proprio settore”. A quanto pare i tempi tecnici potrebbero essere ben più rapidi di quanto preventivato dall’amministratore inglese.
Così, nella rosa di possibili spasimanti, sembra che Renault abbia avuto la meglio suoi connazionali di PSA – che si erano mossi per primi – ma anche sui coreani di Hyundai. I motivi per convolare a nozze sono i soliti che da anni dirigono le grandi manovre dell’industria a quattro ruote: massimizzare le economie di scala e condividere gli onerosi investimenti in ricerca e sviluppo, o meglio ridurre i costi e aumentare i profitti. Sullo sfondo c’è un colosso da quasi 9 milioni di auto l’anno, il terzo del settore dopo Toyota e Volkswagen, con un ventaglio di marchi che copre dal low-cost al luxury, passando per la categoria suv e quella dei veicoli commerciali (quest’ultima già vede la sinergia italo-francese). In altri termini, presenza rafforzata in Europa, America e Cina, dove pure Renault non brilla, a dire il vero.
Ma c’è anche altro: in primis la questione Renault-Nissan. La multinazionale francese rincorre da mesi i giapponesi per trasformare quella che attualmente è un’alleanza in una vera e propria fusione, proprio come quella che si sta avverando con FCA. Da Tokyo fino ad oggi hanno risposto picche alle avances, timorosi di finire sotto il pieno controllo di Renault (e della Francia, che ne possiede il 15%). Paure innescate dall’attuale assetto dell’Alleanza, dove la casa di Boulogne-Billancourt detiene, con pieni diritti di voto, il 43% della Nissan e quest’ultima possiede il 15% di Renault ma senza alcun diritto di voto. Tuttavia la resistenza giapponese potrebbe farsi ancora più debole se, come sembra, l’affaire Renault-FCA andasse definitivamente in porto, rendendo le spalle della Losanga ancora più larghe.
Anche perché Renault non ha alcuna intenzione di rinunciare al suo polo nipponico: coi giapponesi “abbiamo continui incontri per migliorare costantemente l’operatività degli affari in comune”, ha dichiarato a Quattroruote Thierry Bolloré, amministratore delegato di Renault: “Vogliamo creare un’unione ancora più forte e in grado di adattarsi a un contesto che sta subendo accelerazioni impensabili fino a qualche tempo fa”. E pure FCA strizza palesemente l’occhiolino ai giapponesi, ingolosita dalla tecnologia elettrificata di Nissan, che copre dall’ibrido all’elettrico puro: “Crediamo che i benefici che matureranno da una fusione di Groupe Renault e FCA si estenderanno anche ai partner dell’Alleanza – Mitsubishi e Nissan – e non vediamo l’ora di coinvolgerli in opportunità ancora più grandi e reciprocamente vantaggiose”, spiega Manley: “Per noi, questa operazione ha il potenziale per aggiungere valore a tutto campo: per FCA, Groupe Renault e per tutti i nostri stakeholder, così come per tutti i partner dell’Alleanza”.
Parole che seguono a un comunicato ufficiale abbastanza inequivocabile: “FCA è impaziente – quale parte di un’unica azienda con Groupe Renault – di lavorare con le società partner dell’Alleanza (cioè Nissan e Mitsubishi, ndr.), alla ricerca dei modi in cui creare ulteriore valore per tutti i membri. FCA riconosce lo standing e i risultati raggiunti dai partner di Groupe Renault e vede significativi vantaggi previsti da una partnership allargata, per tutte le parti. La fusione di FCA e Groupe Renault insieme con i partner Nissan e Mitsubishi sarebbe la più grande alleanza OEM al mondo, vendendo più di 15 milioni di veicoli annui”. Insomma, si ragiona già nell’ottica di un gruppo con teste in USA, Italia, Francia e Giappone. Sempre che Nissan voglia farne parte.
Chi teme l’egemonia francese, comunque, dovrà tenere presente le istanze di Washington, cioè dell’industria americana, e del presidente Trump: in questo senso il Tycoon (e i suoi successori) saranno la miglior garanzia per FCA affinché il baricentro operativo del nuovo gruppo non si sposti troppo verso Parigi. Per quanto riguarda il nostro Paese, in particolare, “I benefici dell’operazione proposta non si otterrebbero con la chiusura di stabilimenti, ma deriverebbero da investimenti più efficienti in termini di utilizzo del capitale in piattaforme globali dei veicoli, in architetture, in sistemi di propulsione e in tecnologie”, promette FCA. Anche se, libro di storia alla mano, unioni di questo livello sono sempre il preludio delle cosiddette razionalizzazioni della forza lavoro: del resto, è da anni che FCA promette il rientro alla piena occupazione nei suoi stabilimenti italiani, lungamente disatteso.
Da parte sua l’Eliseo mette le cose in chiaro: “il governo è favorevole ma è necessario che le condizioni della fusione siano propizie allo sviluppo economico della Renault e, naturalmente, ai dipendenti della Renault”, ha affermato il portavoce dell’esecutivo Sibeth Ndiaye. “Guarderemo le condizioni a cui sarà concluso l’accordo. É una discussione che avremo, anche come azionisti di Renault, con la società”, ha aggiunto Ndiaye. Parole che sembrano aver svegliato anche il governo italiano: l’ingresso dello Stato in Fca per bilanciare il ruolo della Francia “potrebbe essere un’idea”, ha detto il responsabile economico della Lega, Claudio Borghi, intervistato da Enrico Mentana su La7: “Tutto andrà guardato con attenzione, questa operazione darà vita al primo produttore di auto al mondo. Staremo molto attenti a far sì che un patrimonio della storia italiana sia valorizzato altrimenti interverremo”, ha detto Borghi.