Argomento: la rete criminale di politici, finanzieri, forze dell'ordine venuta alla luce nelle indagini su Antonello Montante, il finto paladino dell'antimafia condannato a 14 anni di carcere per associazione a delinquere e corruzione. La testimonianza era volta a capire quanto della rete "rischia di sopravvivere come governo parallelo della Regione siciliana"
È arrivato da solo Nello Musumeci, senza avvocato, al Palazzo di Giustizia di Caltanissetta. Il presidente della Regione Sicilia è stato ascoltato ieri come testimone dal procuratore capo Amedeo Bertone. Argomento: il “sistema Montante”. Cioè la rete criminale di politici, finanzieri, forze dell’ordine e vertici dei servizi segreti venuta alla luce nelle indagini su Antonello Montante, l’ex paladino dell’antimafia condannato il 10 maggio a 14 anni di carcere per associazione a delinquere e corruzione. Musumeci è stato sentito in quanto ex presidente della Commissione antimafia e deputato dell’opposizione nella scorsa legislatura. La testimonianza era volta a capire quanto della rete criminale “rischia di sopravvivere come governo parallelo della Regione siciliana”.
Il presidente dell’Antimafia Claudio Fava, nella presentazione della relazione finale sull’inchiesta aveva detto che “dalle parole del presidente Musumeci sembrerebbe emergere, più che un ‘sistema Montante’, un ‘sistema Lumia’, nel quale il primo era garante di interessi particolari e specifici del mondo imprenditoriale, ma era il secondo ad essere appunto al centro del sistema parallelo di governo della Regione”. Giuseppe Lumia, ex senatore del Partito Democratico, era stato definito nella relazione dell’Antimafia come il demiurgo dell’operazione, l’artefice di “un sistema trasversale che propone un obiettivo: stare con chi vince o, addirittura, decidere chi sia a vincere. Insomma una Regione dentro la Regione: quella ufficiale contrapposta ad un’altra, sommersa ma assai più incidente”. Fava, aveva dichiarato che avrebbe voluto “ascoltare tutti i presidente della Regione. Abbiamo ascoltato Raffaele Lombardo ed avremmo voluto ascoltare Crocetta, che ha declinato l’invito”.
Un filone aperto dell’inchiesta è legato a diverse figure politiche, delle forze dell’ordine e dei servizi segreti. Oltre all’ex presidente del Senato Renato Schifani, sono sotto processo anche il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, il sindacalista Maurizio Bernava, gli imprenditori del settore sicurezza Andrea e Salvatore Calì, tre dipendenti di Montante, Rosetta Cangialosi, Carmela Giardina e Vincenzo Mistretta, il sottufficiale della polizia di Stato Salvatore Graceffa, il dirigente nazionale di Confindustria Carlo La Rotonda, il maggiore della guardia di finanza Ettore Orfanello, il luogotenente Mario Sanfilippo e il colonnello dei carabinieri Letterio Romeo, quest’ultimo accusato di aver distrutto una relazione di servizio su Montante.
L’accusa ha citato, per ora, sette collaboratori di giustizia informati “dei rapporti intercorsi tra gli imprenditori Antonello Montante e Massimo Romano con appartenenti all’organizzazione criminale Cosa nostra“. Si tratta dei pentiti Antonino Giuffrè, Salvatore Ferraro, Aldo Riggi, Pietro Riggio, Salvatore Dario Di Francesco, Ciro Vara e Carmelo Barbieri. Il pentito di mafia Dario Di Francesco non ha deposto al processo di Caltanissetta, perché il tribunale ha acquisito le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, come richiesto dalla difesa. Anche nella scorsa udienza furono acquisite le deposizioni di un altro collaboratore, Carmelo Barbier.