La corsa al vertice dell'ufficio inquirente capitolino ha spaccato le correnti di Palazzo dei Marescialli, animando uno scontro fatto di esposti, indagini, soffiate e accuse. Da un parte c'è un'indagine a Perugia sul pm di Roma, ex presidente dell'Anm e leader di Unicost. Dall'altra ci sono le denunce all'organo di autocontrollo della magistratura da parte del pm Fava sul suo ex capo. Sullo sfondo c'è un uomo a fare da unico filo conduttore: l'avvocato siciliano Piero Amara
Uno scontro violentissimo al vertice del Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autocontrollo delle toghe. Un conflitto che ha spaccato le correnti, fatto di esposti, indagini, soffiate e accuse di corruzione. E che gira attorno alla più importante delle poltrone: quella di procuratore capo di Roma. Un incarico fondamentale per gli equilibri giudiziari e politici del Paese. Sullo sfondo c’è un uomo a fare da unico filo conduttore: l’avvocato siciliano Piero Amara. C’è Amara alla base dell’esposto inviato a Palazzo dei Marescialli per segnalare il presunto conflitto d’interessi di Giuseppe Pignatone, procuratore di Roma da poco andato in pensione, e Paolo Ielo, attuale aggiunto della Capitale. E c’è sempre Amara a essere citato nell’inchiesta che coinvolge il pm di Roma, Luca Palamara, ex consigliere del Csm, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, leader di Unità per la Costituzione, la corrente moderata dalle toghe. Ma andiamo con ordine.
L’inchiesta su Palamara – Palamara è accusato di corruzione dalla procura di Perugia, l’ufficio giudiziario competente per reati commessi dai magistrati capitolini. La vicenda, riportata dal Corriere della Sera e Repubblica, è legata ai rapporti tra il pm e Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone, arrestato nel febbraio del 2018 per frode fiscale. Considerato vicino agli ambienti del Pd, Centofanti è in affari proprio con Piero Amara, l’avvocato al centro delle indagini delle sentenze comprate al Consiglio di Stato, sul caso del depistaggio delle inchieste sull’Eni, che ha già patteggiato tre anni di reclusione per corruzione. A Perugia l’indagine su Palamara è affidata alla pm Gemma Milano e al Gico della guardia di finanza: al centro dell’attività degli inquirenti c’è il rapporto tra il pm e Centofanti, considerato troppo stretto, fatto di viaggi e “regali galanti“. “Apprendo dagli organi di stampa di essere indagato per un reato grave e infamante per la mia persona e per i ruoli da me ricoperti. Sto facendo chiedere alla Procura di Perugia di essere immediatamente interrogato perché voglio mettermi a disposizione per chiarire, nella sede competente a istruire i procedimenti, ogni questione che direttamente o indirettamente possa riguardare la mia persona”, scrive Palamara in una nota inviata alle agenzie.
I rapporti con Ferri e il Pd – Dell’inchiesta Perugia ha informato il Csm. Palamara, infatti, è in corsa per una delle due poltrone libere da procuratore aggiunto di Roma. Ma da leader di Unicost gioca un ruolo anche nelle trattative tra le correnti per nominare il nuovo procuratore capo della Capitale. Trattative condotte con Cosimo Maria Ferri, il simbolo dei magistrati entrati in politica, senza aver mai perso influenza nel mondo giudiziario. Figlio d’arte (il padre fu magistrato e ministro del governo De Mita con lo Psdi), Ferri è stato sottosegretario alla giustizia nei governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Attuale deputato del Pd, in buoni rapporti con Denis Verdini, Niccolò Ghedini e tutto il mondo berlusconiano, Ferri è ancora oggi un esponente molto influente di Magistratura indipendente, la corrente più conservatrice delle toghe, di cui è stato anche segretario. L’accordo tra le due correnti – che hanno eletto dieci consiglieri togati al Csm – hanno portato all’elezione di David Ermini, ex responsabile giustizia del Pd, a vicepresidente di Palazzo dei Marescialli.
La carta Lo Voi – Secondo Repubblica, nella corsa al vertice della procura di Roma, l’influenza di Palamara e Ferri avrebbe portato a sciogliere l’accordo già siglato da Unicost e Mi per nominare Francesco Lo Voi, attuale procuratore capo di Palermo, al vertice della procura capitolina. Lo Voi è un esponente di Magistratura indipendente, vicino allo stesso Pignatone, ed è diventato procuratore capo di Palermo nel 2014 grazie un intervento fondamentale – e irrituale – dell’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. All’epoca Lo Voi aveva meno titoli dei due concorrenti, Sergio Lari e Guido Lo Forte, con quest’ultimo che aveva raccolto tre voti in commissione incarichi direttivi. Dal Quirinale, però, era arrivata una lettera, che ordinava a Palazzo dei Marescialli di procedere con maggiore urgenza alla nomina degli incarichi vacanti da più tempo. Il vantaggio di Lo Forte era stato azzerato con il rinnovo del Csm e una nuova maggioranza, di colore diverso, aveva portato alla nomina di Lo Voi. Insomma, quello di Lo Voi non è certo un nome sgradito ai vertici del potere istituzionale. In più è vicinissimo a Pignatone, con cui ha lavorato diversi anni fa alla procura di Palermo.
Il boicottaggio e il voto (opposto) in commissione – Per il quotidiano diretto da Carlo Verdelli, l’obiettivo di Palamara e Ferri è cancellare l’eredità di Pignatone a Roma e dunque boicottare Lo Voi. Per questo motivo i due puntano su un altro esponente di Magistratura indipendente, Marcello Viola, procuratore generale di Firenze al di sopra di ogni sospetto ma – scrive Carlo Bonini – ritenuto dalla coppia caratterialmente controllabile. In cambio a Palamara sarebe stato garantito il posto da aggiunto a Roma. Un accordo che però non è rintracciabile nel voto espresso dalla Commissione per gli incarichi direttivi del Csm: giovedì scorso, infatti, il consigliere togato di Unicost – la corrente di Palamara – Gianluigi Morlini non ha votato per Viola ma per il terzo candidato, il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo. A Viola sono andati i voti di Antonio Lepre (Magistratura indipendente), Piercamillo Davigo (Autonomie a Indipendenza), Emanuele Basile (laico della Lega) e Fulvio Gigliotti (laico M5s). A favore di Lo Voi ha votato il togato di Area – la corrente di sinistra delle toghe – Mario Suriano. “Mai, e sottolineo mai, baratterei il mio lavoro e la mia professione per alcunché e sono troppo rispettoso delle prerogative del Csm per permettermi di interferire sulle sue scelte e in particolare sulla scelta del procuratore di Roma e dei suoi aggiunti”, sostiene Palamara. Sul quale la prima commissione del Csm magistratura aprirà un fascicolo. “In questi casi c’è un automatismo ma in presenza di un’indagine penale si sospende in attesa dell’esito”, spiega il presidente della Commissione, Alessio Lanzi, laico di Forza Italia.
Fratelli, veleni e conflitti d’interesse – Ma sul tavolo di Palazzo dei marescialli c’è anche altro. Mentre sullo sfondo del Csm si muovono le cordate per scegliere il successore di Pignatone, presto gli stessi consiglieri dovranno occuparsi di un esposto che riguarda lo stesso ex procuratore capo di Roma, andato in pensione l’8 maggio scorso. A raccontare la storia è Marco Lillo sul Fatto Quotidiano. L’esposto è dal sostituto procuratore di Roma, Stefano Rocco Fava, che ha scritto al Csm per segnalare il presunto conflitto di interessi di Pignatone e Ielo. Che tipo di conflitto d’interessi? I rispettivi fratelli svolgono un’attività professionale che li ha potuti mettere in contatto con Piero Amara, ancora lui. Roberto Pignatone, 61 anni, professore associato di diritto tributario con studio a Palermo, ha ottenuto nel 2014 un incarico da Piero Amara. Domenico Ielo, 49 anni, titolare di un suo studio associato con sede a milano, ha fatto legittimamente il consulente per l’Eni, finita nel mirino della Procura per i pagamenti da decine di milionia una società di nome Napag, considerata dello stesso Amara.
L’esposto al Csm su Pignatone – Al centro dell’esposto di Fava c’è una riunione del 5 marzo scorso convocata da Pignatone nel suo ufficio per discutere dell’eventuale sua astensione in ragione dei rapporti professionali del fratello. Il 12 dicembre 2018 era stato lo stesso Fava a chiedere di accelerare un’indagine su soggetti legati ad Amara. A quel punto è Ielo che chiede di astenersi per evitare conflitti, visti gli incarichi in Eni di suo fratello. La richiesta di Fava di andare avanti, però, non viene approvata da Pignatone (e dall’aggiunto Rodolfo Sabelli, che ha preso il posto di Ielo). Il pm Fava contesta quindi a Pignatone i rapporti del fratello con Amara. L’allora procuratore capo convoca quindi la famosa riunione del 5 marzo. Ci sono gli aggiunti Michele Prestipino, Paolo Ielo, Rodolfo Sabelli e il sostituto Mario Palazzi, quello che – con Ielo e Pignatone – ha condotto l’inchiesta Consip. Pignatone sostiene che tutti conoscevano i rapporti del fratello Roberto e nessuno aveva avuto nulla da ridire sulla sua “non astensione”. Fava nega. Gli aggiunti si schierano con il capo. Passano tredici giorni e Pignatone toglie il fascicolo a Fava. Che a sua volta scrive al Csm.
La Cassazione avvierà accertamenti disciplinari – Intanto Il pg della Cassazione Riccardo Fuzio avvierà accertamenti disciplinari su Palamara: “Una pre-istruttoria ci sarà – ha detto l’alto magistrato rispondendo ad una domanda a margine di una tavola rotonda – come accade per tutte le notizie di reato che riguardano i magistrati e che vengono comunicate alla Procura generale e al Csm”. Fuzio facendo un riferimento ad alcuni articoli di giornali aggiunge: “Mattarella è il presidente del Csm e non ha attuato nessuna invasione di campo, ma ha rispettato le sue attribuzioni”.