“Chiedo scusa a Giuseppe La Mattina”. Cioè una delle persone accusate falsamente da Vincenzo Scarantino. Ventisette anni diopo, il falso pentito della strage di via d’Amelio si scusa con uno degli imputati, che a causa delle sue false accusate furono condannati all’ergastolo per l’omicidio del giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Scarantino ha voluto chiedere scusa a La Mattina, che è presente in aula, prima dell’inizio del controesame al processo sul depistaggio che si celebra a Caltanissetta. Alla sbarra ci sono tre poliziotti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
Giuseppe La Mattina era stato condannato ingiustamente per la strage insieme a Cosimo Vernengo, Gaetano Murana, Gaetano Scotto e Natale Gambino. Un anno fa i loro legali, gli avvocati Rosalba Di Gregorio, Giuseppe Scozzola e Giuseppe D’Aquì, avevano chiesto un risarcimento di un milione di euro per ciascuno dei loro assistiti. La Mattina, appena ascoltato le scuse di Scarantino, ha guardato verso l’ex collaboratore e ha alzato il pollice nella sua direzione. In segno di approvazione. In aula, oltre a La Mattina, c’è anche Gaetano Murana. “Quando Vincenzo Scarantino mi ha chiesto scusa gli ho sorriso e ho alzato il pollice perché l’ho già perdonato da tempo… Lui non c’entra niente con quelle accuse. Le colpe sono di altri, non sue”, ha detto La Mattina, che ha scontato dodici anni di carcere per le false accuse di Scarantino. Oggi è libero.
Durante il controeseme Scarantino ha anche spiegato di essere stato imbeccato solo dai poliziotti e non anche dai magistrati titolari delle prime inchieste su via d’Amelio. “Il dottor Di Matteo non mi ha mai suggerito niente, il dottor Carmelo Petralia neppure. Mi hanno convinto i poliziotti a parlare della strage. Io ho sbagliato una cosa sola: ho fatto vincere i poliziotti, di fare peccare la mia lingua e non ho messo la museruola…”, ha detto l’ex collaboratore. “I poliziotti mi hanno fatto credere che i magistrati sapevano ogni cosa – aggiunge – Io mi trovavo nel deserto dei tartari. La Polizia mi aveva convinto che poliziotti del gruppo ‘Falcone e Borsellino’ e i magistrati fossero la stessa cosa ecco perché sono arrivato ad accusare i magistrati. Io ero un ragazzo rovinato dalla giustizia, non ero un collaboratore di giustizia. I magistrati mi contestavano le cose tre o quattro volte, quando non capivo niente, io uscivo e poi trovavo la risposta che dovevo dare ai magistrati. Se io ho coinvolto i magistrati è perché i poliziotti mi hanno fatto credere che fossero un’unica cosa. Perché Arnaldo La Barbera (che era a capo del gruppo investigativo ndr) aveva uno strapotere”.
La rivelazione arriva durante il controesame dell’avvocato Vincenzo Greco, che rappresenta i figli di Paolo Borsellino, che si sono costituiti parte civile nel corso del processo per il depistaggio.
Quando il legale gli chiede se di recente è stato avvicinato da qualcuno “per cambiare idea”, Scarantino risponde: “Oggi sono sereno anche se sono un senzatetto, non lavoro, non ho niente ma sono sereno. Comunque, non mi ha contattato nessuno”. Il pm Nino Di Matteo non ha commmentato le parole di Scarantino, perché ” relative a processi in corso, ma a chi da anni trova il pretesto per attaccarmi, per la vicenda dei processi relativi alla strage di via D’Amelio, vorrei dire che spero che ora ritrovino l’onestà intellettuale di ricordare che anche grazie al mio lavoro sono stati inflitti più di 20 ergastoli per la strage Borsellino, mai messi in discussione. E sono state create anche le basi per scoprire eventuali ulteriori responsabili e le motivazioni reali della strage”.