Giovanna Ciaffi, Matteo Deleidi e Enrico Sergio Levrero*
Nel corso degli ultimi 20 anni la direzione seguita a livello europeo è stata quella di una crescente rigidità nelle regole fiscali anche oltre quanto già previsto dal Trattato di Maastricht del 1992, fino ad arrivare, nel marzo del 2012, al Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione Economica e Monetaria, noto come Fiscal Compact e firmato da tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, esclusi il Regno Unito e la Repubblica Ceca.
Come è noto, il Fiscal Compact prevede il rispetto di due regole principali in materia di finanza pubblica: (i) Un sostanziale pareggio di bilancio, o più precisamente, il divieto per il deficit strutturale del settore pubblico di superare lo 0,5% del Pil nel corso di un ciclo economico; e (ii) che il rapporto debito pubblico/Pil scenda ogni anno di un ventesimo della distanza tra il suo livello effettivo e la soglia-obiettivo del 60% prevista nel Trattato di Maastricht.
Per quanto dal 2012 la Commissione Europea abbia concesso ai diversi Stati, tra cui l’Italia, deroghe alle regole imposte dal Fiscal Compact, ci si può chiedere – anche alla luce di alcune proposte di riforma che ne prospettano un inasprimento in vista di una possibile politica fiscale europea¹ – cosa accadrebbe se si imponesse ai singoli Stati anche solo il puntuale rispetto delle regole fiscali finora previste. In particolare, ci si può chiedere quali effetti diverse regole di politica fiscale potrebbero avere sull’andamento del rapporto debito pubblico/Pil. Come si vedrà, qualora si ammetta che il trend del reddito dipende dalle variazioni nelle componenti autonome della domanda aggregata, una politica fiscale restrittiva che segua le regole del Fiscal Compact non determinerà necessariamente una riduzione di quel rapporto. Inoltre, anche qualora tale riduzione fosse alla fine ottenuta, ciò avverrebbe a costo di consistenti perdite di ricchezza netta del settore privato e un sostanziale impoverimento della popolazione.
1. La crisi del 2007 e gli effetti del fiscal compact
A base del Fiscal Compact e delle posizioni della Commissione Europea vi è l’idea che i deficit fiscali si traducano in una riduzione degli investimenti privati e abbiano un effetto negativo sulle potenzialità di crescita del sistema economico. Diverso è il punto di vista keynesiano: in economie che normalmente funzionano al di sotto dei loro livelli di piena occupazione, la spesa pubblica avrà un effetto espansivo sul reddito sia direttamente che per effetto dell’aumento degli investimenti privati che l’incremento di spesa pubblica e quindi del reddito potrà determinare.
Nella filosofia a base delle prescrizioni della Commissione europea, l’effetto negativo di politiche fiscali espansive deriverebbe in primo luogo dalle ripercussioni che si ritiene esse avranno sul costo del servizio del debito pubblico. Quando tali politiche non siano finanziate con emissione di moneta – di cui è fatto esplicito divieto nei trattati istitutivi della Banca Centrale Europea – esse determinerebbero infatti un aumento dei tassi di interesse spiazzando così la spesa privata. I valori dei moltiplicatori fiscali risulterebbero pertanto bassi o persino negativi, e si manifesterebbe di conseguenza un aumento del rapporto debito pubblico/Pil e dunque ulteriori pressioni al rialzo sui tassi di interesse per il maggior rischio associato al debito sovrano. Anche solo una stabilizzazione di quel rapporto potrebbe allora ottenersi unicamente con avanzi primari tali da compensare la crescente spesa per interessi. Inoltre, solo politiche fiscali restrittive in grado di abbassare il rapporto debito pubblico/Pil e con ciò i tassi dell’interesse potrebbero effettivamente liberare risorse per la crescita e l’occupazione – ed avere così, almeno nel medio periodo, un carattere espansivo². Come previsto da autori di ispirazione keynesiana, l’applicazione di questa idea dell’austerità espansiva ha portato ad aumenti piuttosto che a riduzioni del rapporto debito-pubblico Pil nei paesi costretti ad adottare politiche di consolidamento fiscale, e ciò in particolare nel corso della crisi dei debiti sovrani del 2009-2010.
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* Università degli studi Roma Tre
1. Per una sintesi delle diverse proposte di riforma dell’architettura istituzionale europea cfr. Pisani-Ferry, J. (2018).
2. Come sostenuto da Schaltegger and Weder (2012; 2014) utilizzando dati panel per 21 paesi OCSE dal 1970 al 2009, si dovrebbero effettuare ampi aggiustamenti fiscali basati su tagli alla spesa per determinare tassi di interesse a lungo termine notevolmente più bassi ed un significativo aumento degli investimenti privati.