Riuscire a raccogliere intorno a un tavolo persone tra di loro profondamente diverse ha un valore enorme. Quando partecipo a riunioni dove c’è l’80% di uomini, vestiti tutti dello stesso colore, con le stesse scarpe, lo stesso orologio e che poi fuori hanno anche la stessa macchina, rabbrividisco. Queste cose dovrebbero appartenere a un passato lontano e invece siamo qui tutti a parlare di gender gap perché non si riesce a fare un salto in avanti.
L’intelligenza artificiale non è “neutra”
Pensavo che, con l’avvento dell’intelligenza artificiale le cose sarebbero cambiate e le differenze di genere, di razza e religione non sarebbero più contate e invece mi sbagliavo di grosso. L’intelligenza artificiale non si crea da sola ma dietro ci sono squadre di uomini che la preparano e ci lavorano. Secondo uno studio di Ai Now Institute di New York University, circa l’80% di chi lavora in questo campo è bianca e di sesso maschile. Questa percentuale arriva al 90% nel caso di Google e in Facebook va solo un po’ meglio, con le donne che lavorano nell’Ai che si aggirano intorno al 15%. Questo, tradotto in parole povere, significa che queste persone possono condizionare, con i loro schemi mentali, ciò che “programmano” nell’Ai.
Sarà un caso che i sistemi di riconoscimento facciale identifichino molto bene gli individui con la pelle bianca e invece fanno spesso errori quando si tratta di persone di colore? E che dire delle voci degli assistenti vocali? Troppo spesso si tratta di voci femminili che danno risposte spesso remissive e civettuole, che rafforzano l’idea che le donne abbiano un ruolo subordinato.
Per questo scende in campo anche l’Unesco, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, che ha realizzato lo studio I’d blush if I could: closing gender divides in digital skills through education. In questa ricerca vengono chiamati in causa anche giganti come Apple, Google e Amazon ricordando loro che è necessario un importante cambio di rotta, non solo cambiando le voci, ma proprio assumendo più donne per garantire e favorire la diversità, che può portare maggiore efficacia in qualunque progetto, di qualunque settore.
Nasce “Q”: voce artificiale neutra per combattere la discriminazione
Del resto, perché quando si pensa a un assistente si pensa a una donna? Vi ricordate “Q”? Nei film di 007 era il responsabile del Settore Q, appunto, e aveva il compito di fornire le armi, i gadget tecnologici e le auto accessoriate agli agenti doppio “0”, quelli che avevano la licenza di uccidere. Magari hanno pensato a lui, quando si è trattato di “battezzare” la voce neutra, che non ha timbro né maschile né femminile.
Si tratta del risultato della collaborazione tra Unesco e il network creativo anglo-americano Virtue Worldwide e la ricercatrice danese Anna Jorgensen che, unendo le forze, hanno creato una voce artificiale che va oltre ogni tipo di stereotipo. Sono state fuse le voci di 22 transgender come base e poi è stato manipolato il risultato elettronicamente per comprimere la tonalità in una banda di frequenze che oscilla attorno ai 153Hz “neutrali”.
Vi consiglio di andare sul sito ufficiale di Q: dove ascolterete le sue prime parole. Un messaggio gentile ma deciso, forte ma non violento che si conclude con una richiesta di aiuto: condividere la sua voce con Microsoft, Apple, Google e Amazon affinché inseriscano anche una voce neutra tra le varie opzioni che offrono nelle loro impostazioni. Io allargherei la richiesta e coinvolgerei anche tutte le case automotive: per coinvolgere anche le nostre vetture. Concludo con un estratto della sua presentazione: I’m created for a future where we’re no longer defined by gender but rather how we define ourselves.