Sul caso dei magistrati indagati – tra cui l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara – il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha deciso di attivare gli ispettori. Anche in considerazioni delle contestazioni nei confronti delle toghe coinvolte. Oltre Palamara, che al momento risponde di corruzione rivelazione di segreto – sono stati iscritti nel registro degli indagati il pm di Roma, Stefano Fava (rivelazione) e il consigliere del Csm Luigi Spina (rivelazione e favoreggiamento). Secondo l’Ansa il Guardasigilli aveva investito l’ispettorato del ministero del compito di svolgere “accertamenti, valutazioni e proposte”. In via Arenula c’è molta preoccupazione data la delicatezza della vicenda che coinvolgerebbe anche le nomine del Csm e il ministro si riserva di assumere ogni opportuna iniziativa quando il quadro sarà più chiaro, nel pieno rispetto dell’autonomia della magistratura che ha aperto un’inchiesta.
“40mila euro per pilotare nomina procuratore Gela”
Le contestazioni dei pm di Perugia – contenute nel decreto di perquisizione – sono pesantissime. A Palamara, secondo l’accusa, sarebbero stati pagati viaggi, un anello per un’amica e 40mila euro per pilotare le nomine dei magistrati a capo delle Procure, una delle quali sarebbe stata però “fermata dallo stesso presidente della Repubblica”. Nel registro degli indagati, con l’accusa di corruzione, i pm di Perugia hanno iscritto anche Fabrizio Centofanti, l’imprenditore dei ‘regali’, e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, al centro dell’inchiesta sulle sentenza comprate al Consiglio di Stato.
Dalle indagini emergono viaggi e vacanze per Palamara (all’epoca consigliere del Csm) e famiglia: un’attività corruttiva messa in atto, secondo la procura di Perugia, “per fare in modo che Palamara mettesse a disposizione, a fronte delle utilità, la sua funzione di membro del Csm, favorendo nomine di capi degli uffici cui erano interessati Amara e Calafiore”. Tra i regali, anche un anello “del valore di duemila euro in favore dell’amica Adele Attisani”, oltre a un soggiorno a Taormina. E poi viaggi per lo stesso Palamara, o la sorella, in Toscana, a Madonna di Campiglio, a Dubai e Favignana.
Il sostituto procuratore romano, secondo l’accusa, quando rivestiva il ruolo di componente del Csm, avrebbe anche ricevuto 40 mila euro dagli avvocati Calafiore e Amara per favorire la nomina di Giancarlo Longo (arrestato nel febbraio 2018 per corruzione a Messina – ndr) a procuratore di Gela: un tentativo non andato in porto – secondo quanto avrebbe riferito Palamara, come raccontato dallo stesso Longo ai magistrati – per “un intervento diretto del presidente della Repubblica” Sergio Mattarella.
Il filone del favoreggiamento e della rivelazione d’ufficio
Un altro filone della stessa indagine riguarda invece le accuse nei confronti dell’attuale consigliere del Csm, Luigi Spina. Per quest’ultimo le ipotesi di reato sono rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. Spina, che come Palamara è esponente di Unicost, la corrente di centro delle toghe, avrebbe rivelato al suo collega notizie relative all’inchiesta di Perugia nel quale era indagato, apprese proprio grazie al suo ruolo nel Csm. Una conversazione dello scorso 9 maggio “tra Spina, Palamara e due parlamentari (…) dimostra” che lo stesso Palamara, si legge negli atti dell’inchiesta, era “già consapevole del suo procedimento pendente a Perugia, tanto da parlarne con un parlamentare imputato”.
Un altro dei soggetti chiave associati alle indagini sui rapporti tra Palamara e Spina è poi il pm romano Stefano Rocco Fava, indagato per favoreggiamento e rivelazione del segreto di ufficio in concorso. Il pm, autore dell’esposto al Csm contro il procuratore Pignatone e l’aggiunto Ielo, è accusato di aver rivelato a Palamara notizie sulle indagini a suo carico e di averlo aiutato ad eluderle fornendo atti e documenti. “C’avrai la tua rivincita perché si vedrà che chi ti sta fottendo (…) forse sarà lui a doversi difendere a Perugia, per altre cose perché noi a Fava lo chiamiamo”, diceva al telefono Spina all’amico Palamara, che rispondeva: “No adesso lo devi chiamare altrimenti mi metto a fare il matto“. Palamara avrebbe acquisito informazioni anche attraverso il commercialista Andrea De Giorgio, consulente nominato anche all’interno della Procura della Repubblica di Roma.
Secondo i pm, “la consegna di queste carte ‘contro’ i suoi colleghi da parte di Fava e parimenti le informazioni assunte dal De Giorgio” hanno “per Palamara, nella sua ottica, un valore al contempo difensivo e forse di ‘ritorsione’“. Ora al vaglio degli inquirenti ci sono i file contenuti in uno dei computer dell’ex consigliere del Csm sequestrato a piazzale Clodio. Nei colloqui intercettati anche la necessità di far arrivare a capo della procura di Perugia un magistrato amico in grado di alleggerire la sua posizione e magari aprire un fascicolo contro l’aggiunto Paolo Ielo, che aveva trasmesso gli atti arrivati da Messina a Perugia per competenza.