Chiesto il rinvio a giudizio per Graziano Maccarone, segretario del vescovo di Mileto, e Nicola De Luca, parroco a Tropea, ai quali viene contestata anche l'aggravante mafiosa. Secondo l'accusa hanno minacciato - vantando amicizie con la cosca Mancuso di Limbadi - un conoscente per avere indietro 8.950 euro che gli avevano prestato. E uno dei due ha contattato oltre 3000 volte la figlia disabile del debitore
La Dda di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio per tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose di due sacerdoti: Graziano Maccarone, segretario particolare del vescovo di Mileto (Vibo Valentia), e Nicola De Luca, reggente della chiesa Madonna del Rosario di Tropea. Secondo l’accusa i due hanno minacciato – vantando amicizie con la cosca Mancuso di Limbadi – un conoscente per avere indietro 8.950 euro che gli avevano prestato per estinguere un debito. Don Maccarone avrebbe anche scambiato oltre tremila messaggi a sfondo sessuale con la figlia disabile del debitore.
I due preti sono accusati di avere minacciato un uomo al quale, in precedenza, avevano prestato 2.500 euro De Luca e 6.700 Maccarone. Somma che doveva servire a compensare un debito contratto dall’uomo e da una sua figlia con una terza persona. Per evitare il pignoramento dei beni della figlia, l’uomo si era quindi rivolto ai sacerdoti. Mentre avveniva questo Maccarone, secondo l’accusa, ha iniziato ad inviare messaggi a sfondo sessuale alla figlia maggiorenne dell’uomo, invalida al 100%. In breve tempo, il prete ha avuto oltre tremila contatti telefonici, prevalentemente messaggi a sfondo sessuale, facendosi inviare foto compromettenti e facendosi recapitare indumenti intimi dalla ragazza. In una occasione, il sacerdote aveva anche invitato la ragazza in un albergo di Pizzo ma l’incontro non ha mai avuto luogo.
Successivamente, tra il dicembre 2012 ed il gennaio 2013, secondo quanto emerso dalle indagini, Maccarone ha cambiato radicalmente atteggiamento, chiedendo al debitore l’immediata restituzione delle somme di denaro per sé e per don De Luca. Il sacerdote aveva invitato anche il debitore in uno studio legale per chiarire quanto accaduto con la figlia ed invitando anche la ragazza alla quale, il sacerdote dicendole che aveva salvato tutti i messaggi e le foto che lei gli aveva mandato. In un successivo incontro tra i prelati ed il debitore, don Maccarone fece riferimento ai suoi “cugini di Nicotera” evocando così, secondo l’accusa, la propria vicinanza alla famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso. Alla successiva richiesta dell’uomo di avere, prima di adempiere al pagamento, una copia della liberatoria firmata dal creditore originario, don Maccarone avrebbe affermato, mentendo, di non avere alcuna ricevuta mentre invece era in possesso di una scrittura privata.
Quindi Maccarone, nel corso di un incontro, avrebbe specificato che “il cugino mio è Luigi, il capo dei capi”. Successivamente, secondo l’accusa, ha contattato un cugino di Nicotera ritenuto legato al boss Pantaleone Mancuso detto “Scarpuni” facendo poi arrivare, tramite De Luca, il messaggio al debitore di stare attento “che avrebbe fatto una brutta fine”. Infine, sempre Maccarone, avrebbe detto all’altro sacerdote di farsi da parte perché sarebbero intervenuti i suoi cugini e avrebbe recuperato il denaro per “vie traverse”. L’udienza davanti al gup che dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio è stata fissata per il 3 ottobre prossimo.