Massimo Gramellini ha proposto di recente l’introduzione dei playoff per dare più interesse al campionato di calcio. È un’idea che circola da tempo e che potrebbe rendere più competitivo il campionato, visto lo strapotere di una sola squadra, la Juventus, anche se c’è il rischio di rendere meno coinvolgente la parte finale della competizione, quando le posizioni in classifica si sono stabilizzate. È più probabile che si realizzi prima un’altra ipotesi che circola da alcuni anni, un super-campionato europeo, una Champions allargata e con più confronti rispetto all’attuale modello.
Nonostante la scontata ostilità delle squadre minori e l’opposizione (forse più di facciata che di sostanza) del “governo” del calcio, il business preme per il campionato europeo per club. Vi si arriverà perché l’interesse per le partite di Champions è alto, come dimostrano gli elevati ascolti televisivi che realizzano, innanzitutto quando c’è la presenza di una squadra italiana (come esempio cito la partita Real-Juve del 2017 su Canale5 che ottenne il 55% di share e 13,3 milioni di spettatori), ma anche quando si confrontano due grandi club esteri.
L’abitudine a vedere la Champions e i campionati esteri porta molti a tifare anche per un grande club estero (atteggiamento utile spesso a mitigare le delusioni della squadra del cuore). Quando arriveremo a questo traguardo, i club italiani dovranno attrezzarsi meglio per non rischiare di rimanere indietro, come già sta avvenendo (l’ultima Champions vinta dall’Inter risale al 2010).
Nelle prime dieci squadre di calcio europee per ammontare dei ricavi vi sono due squadre spagnole, una squadra francese e una tedesca, sei squadre inglesi e nessuna squadra italiana. La Juventus occupa la posizione 11, poi vi sono l’Inter (14), la Roma (15), il Milan (18) e il Napoli (21). La “forza” del calcio britannico è evidente. Il nostro sistema-calcio deve crescere!
Passi avanti si sono fatti. Lo scorso anno l’asta per i diritti del campionato per il prossimo triennio è aumentata del 17%, arrivando a 1,4 miliardi. Nuovi manager si stanno imponendo nella federazione e nei club, i quali piano piano, anche grazie ai controlli ai quali le società sono sottoposte, vengono gestiti con criteri imprenditoriali. I tempi del “magnate” che versa soldi nelle casse delle squadre senza un ritorno diretto, magari per cercare di ottenere favori per altri business, stanno per finire!
La ripartizione dei ricavi è simile a quanto avviene in Europa. Il problema è aumentare il monte complessivo dei ricavi, riducendo semmai l’utilizzo eccessivo che si fa delle plusvalenze, un metodo che solo apparentemente aumenta il fatturato. Dubito che si possa sperare in un incremento dei diritti televisivi, per due motivi:
1. gli abbonamenti alla pay hanno difficoltà a crescere, dopo essere arrivati a circa 6 milioni, anche per l’ampiezza dell’offerta gratuita. Ci sono 138 canali gratuiti ricevibili sulle principali piattaforme (non dimentichiamo poi la questione dei costi e della pirateria);
2. dal 2000 la pubblicità televisiva è scesa del 7%, una crisi degli investimenti pubblicitari che solo un’improbabile ripresa dei consumi potrebbe invertire.
Si dovrebbe puntare sulle altre due fonti di entrata. I club dovrebbero meglio valorizzare il proprio vivaio. C’è inoltre l’urgenza dell’ammodernamento degli stadi: una visita al Camp Nou, per esempio, fa capire come il Barcellona non incassi solo nel giorno della partita! Infine bisognerebbe far ritornare le famiglie allo stadio (il record dell’Inter di 61mila spettatori in media nelle gare casalinghe nell’ultimo campionato è un fenomeno isolato). Se il nostro sistema-calcio crescerà, attirando maggiori attenzioni degli sponsor, le nostre squadre potranno competere alla pari con gli altri più noti club europei; altrimenti rimarrà solo la speranza che qualche nostrano club possa ripetere il “miracolo” Ajax.