Caro Stefano Feltri,
non volevo scrivere questo post e ho riflettuto a lungo prima di spedirlo, poi ho ritenuto giusto farlo per amore della verità. Insomma, non sono un complottista e comprendo le sue ragioni in merito alla partecipazione alla riunione del Bilderberg. Ragioni valide sul piano strettamente teorico: un giornalista partecipa a un convegno: che c’è di male?
Mi chiedo però se il “livello teorico” sia l’unico da cui occorra guardare questa vicenda. Per farla breve, sull’invito del Bilderberg evidenzio due cose: 1) che fin dal primo momento mi è sembrato un invito strano; 2) che la sua partecipazione, pur non essendo uno scandalo, mi è parsa quanto meno poco opportuna. La speculazione costruita dal Giornale conferma la mia tesi: “Tra i tanti bersagli del «Fatto quotidiano» ci sono da sempre i «lobbisti»… affari, politica, giornali, televisioni… Nel mondo dei complottisti però la lobby per eccellenza è una sola: il Club Bilderberg, il salotto che guiderebbe dall’ombra economia e politica. Indovinate un po’ chi hanno invitato quest’anno al super esclusivo Bilderberg? Stefano Feltri. Vicedirettore del Fatto. Sembra una lobby di Fatto”. Si tratta di una speculazione, dicevo; e non sono certo un ammiratore di Sallusti (rinvio al mio lontano “Sallusti svegliati non sei Montanelli”, il Fatto Quotidiano, 5 settembre 2013). Perché ne parlo allora?
Perché se scendiamo dall’astratta teoria (diritto di partecipare a qualsiasi convegno) al mondo reale, le cose sono più complicate: i giornali hanno un’anima, caro Feltri, che non deve per nessuna ragione essere esposta alle strumentalizzazioni. Potrebbe Massimo Franco partecipare a un convegno (per giunta a porte chiuse) di una nuova internazionale comunista? Sul piano teorico sì, ma sarebbe poco opportuno. Potrebbe Rossana Rossanda partecipare a un convegno (per giunta a porte chiuse) di un’organizzazione di estrema destra? Sul piano teorico sì, ma sarebbe poco opportuno. Mi fermo. Mi vengono in mente (chissà perché?) le costosissime scarpe di D’Alema o la sua barca: che c’era di male? Nulla. Eppure segnarono una caduta d’immagine. Ecco, l’immagine sua e del giornale: “questo” non è stato tenuto nel giusto conto.
Confermo l’impressione del primo momento: la presenza del vicedirettore del Fatto alla riunione del Bilderberg è un errore. Ovviamente (ma c’è bisogno di dirlo?) pongo solo una questione di opportunità – e di metodo – la stima verso la sua persona resta immutata.
Un caro saluto