È proprio il vuoto normativo interno alla legge 242 del 2016 che i giudici della Corte di Cassazione sono andati a riempire. In particolare, secondo il provvedimento varato durante la precedente legislatura, sono lecite le coltivazioni della cosiddetta “cannabis light”, quella cioè depotenziata e quindi con un valore di Thc (tetraidrocannabinolo) inferiore allo 0,2% (ma con risvolti penali solo dallo 0,6%), ma solo se delle varietà previste dalla normativa europea.
Regolati anche gli usi. In particolare è consentito il consumo in ambito alimentare, cosmetico, tessile e nel settore della bioedilizia. Vietati, ma solo per esclusione, quindi, gli scopi ricreativi, quelli cioè che la sentenza della Suprema Corte va a toccare. Secondo la normativa del 2016, inoltre, la vendita è libera – da qui la nascita di diversi cannabis shop e rivenditori autorizzati – e soggetta solo alle limitazioni relative al consumo. La 242 regola solo l’utilizzo della cannabis depotenziata. Fuori discussione, quindi, l’uso di erba terapeutica, che ha valori di Thc compresi tra il 7 e il 22% ed è vendibile in Italia solo dietro prescrizione medica e solo in farmacie ospedaliere o territoriali autorizzate.