La cedolare secca sugli affitti è stata giustificata anche con la necessità di recuperare gettito. Il recupero non è stato però sufficiente a compensare le perdite. E l’emersione di imponibile si può favorire senza penalizzare la progressività.
di Sergio Beraldo e Giovanni Esposito (Fonte: lavoce.info)
Imposta fissa sugli affitti
La cedolare secca sugli affitti per unità immobiliari locate a uso abitativo, introdotta nel 2011, si sostanzia nella possibilità di pagare un’imposta fissa del 21 per cento (10 per cento per i canoni concordati) in sostituzione di Irpef, addizionali, imposta di bollo e di registro. L’opzione ha guadagnato progressivamente consenso (figura 1a, 1b), tanto da assoggettare, al 2019, il 43,9 per cento dei canoni. La sua introduzione – che ha penalizzato la progressività, oltre che alcuni principi di equità, cardine del sistema fiscale, è stata giustificata anche con la necessità di recuperare gettito. La legge di stabilità 2018 ne ha esteso l’ambito di applicazione.
Se si guarda al solo andamento del gettito, però, vi sono motivi per ritenere che la cedolare non abbia arrecato i benefici attesi. In particolare, il guadagno di gettito ottenuto con l’emersione grazie alla cedolare non è stato sufficiente a compensare le perdite per le agevolazioni fiscali godute dalla platea dei contribuenti non evasori, che in precedenza assoggettavano a Irpef i canoni percepiti.
La lezione da tenere a mente, anche alla luce delle proposte di riforma fiscale, è che l’allargamento della base imponibile che si realizza con l’introduzione di una flat tax potrebbe non essere sufficiente a renderla compatibile con i vincoli di gettito.
I dati sul gettito
Se calcolata a parità di base imponibile, la perdita di gettito cumulata provocata dalla cedolare nel periodo 2011-2017 è stata di 11,2 miliardi di euro (tabella 2, colonna E). Il calcolo non tiene però conto della base imponibile che sarebbe emersa grazie alla contribuzione di favore. In realtà, nel periodo 2010-2014 le unità abitative di proprietà di persone fisiche, dichiarate locate, sono lievemente scese, dall’8,9 all’8,8 per cento dello stock corrispondente: l’aumento di immobili locati a uso abitativo (+3,7 per cento), infatti, è stato inferiore all’accrescimento del patrimonio immobiliare nazionale (+4,4 per cento).
Peraltro, l’impennata dell’ammontare complessivo dei canoni da locazione nel biennio 2011-2012, dovuta con tutta probabilità all’introduzione della cedolare, ha subito un immediato assestamento (figura 1a): la crescita media annuale dei canoni dichiarati, nel periodo 2011-2017, è stata del 2,7 per cento (contro il 4 per cento del periodo 2008-2010). Tuttavia, per completezza, bisognerebbe tenere conto che, per ragioni di tipo macroeconomico, l’ammontare medio dei canoni si è ridotto nel periodo a cavallo dell’introduzione della cedolare.
L’allegato alla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, pubblicata in autunno, stima un aumento del gettito da locazioni in rapporto al Pil di 0,04 punti nel periodo 2011-2016. Nel documento si afferma che l’incremento, in ogni caso molto modesto, sarebbe dovuto a emersione. Riteniamo invece che l’aumento del gettito sul Pil non sia scaturito da una emersione di base imponibile sufficiente a compensare il depotenziamento della tassazione ordinaria, ma dalla circostanza che, dal 2013, l’imponibile assoggettato a Irpef è aumentato dall’85 al 95 per cento dei canoni da locazione, con un effetto, in termini di maggiore gettito, di circa 800 milioni annui tra il 2013 e il 2017. All’aumento della base imponibile dell’Irpef non hanno potuto sfuggire le locazioni commerciali, alle quali non è possibile applicare la cedolare. D’altro canto, una certa quota di contribuenti ha continuato a preferire il regime ordinario, perché per loro l’aliquota Irpef effettiva risultava comunque minore dell’imposta sostitutiva. Nel complesso, al netto dell’aumento di base imponibile Irpef sui canoni, il gettito da locazioni si sarebbe ridotto dell’1,2 per cento nel periodo 2010-2017 (tabella 1a, 1b).
A riprova di quanto detto, si consideri che l’ammontare di nuova base imponibile che la cedolare secca avrebbe dovuto generare per compensare esattamente la perdita di gettito dovuta al depotenziamento della tassazione ordinaria (ultima colonna della tabella 2) al 2017 avrebbe dovuto essere superiore ai 7 miliardi di euro.
Perché non aumentare la deduzione forfettaria?
La legislazione fiscale ha virato verso uno scardinamento del carattere onnicomprensivo dell’imposta personale progressiva, giustificandolo sulla base di previsti incrementi di gettito che non si sono realizzati, mentre si sono certamente avuti consistenti vantaggi per la quota di contribuenti che godono di rendite da locazione. In alternativa, si sarebbe potuto optare per un aumento della deduzione forfettaria: innalzandola ad esempio al 40 per cento, si sarebbe ottenuto l’effetto di mitigare la tassazione sulle locazioni, in modo da favorire l’emersione dell’imponibile senza intaccare la progressività (tabella 3). Vale la pena notare che il legislatore ha deciso, invece, di seguire tutt’altra strada, diminuendo la riduzione forfettaria per i canoni liberi dal 15 al 5 per cento.