Il lieto fine dell’incredibile storia della Certosa di Trisulti – ceduta per diciannove anni all’internazionale nera di Steve Bannon dal ministro per i Beni culturali Dario Franceschini nel febbraio 2018 e oggi recuperata al patrimonio nazionale grazie al suo successore Alberto Bonisoli, che ha potuto far leva alcuni vizi formali della pratica – non dissipa le ombre e gli interrogativi.
La prima questione riguarda il ruolo che in tutta la vicenda ha giocato la Lega di Matteo Salvini. Il cardinale Raymond Leo Burke (il capo morale dell’ultradestra cattolica che ama Trump e contesta radicalmente papa Francesco) presiede l’Advisory Board dell’Dignitatis Humanae Institute cui era stata affidata la Certosa. Ma è anche il presidente della Fondazione Sciacca, il cui consiglio scientifico ha come presidente Matteo Salvini e come vice Giancarlo Giorgetti. D’altra parte, notissimi e numerosi sono gli incontri pubblici tra Burke e Salvini.
Ma non è solo Burke: lo stesso Bannon è stato in stretti rapporti con Armando Siri (da cui avrebbe mutuato l’idea della Scuola di formazione politica da fondare a Trisulti), e Report ha ben documentato come sia stato il figlio di Paolo Arata, Federico, ad accompagnare Bannon in una visita ufficiale da Salvini al Viminale. Ce n’è abbastanza per chiedersi se, di fatto, Trisulti non stesse per diventare la sede di rappresentanza della politica internazionale occidentale della Lega (a quella orientale, verso Putin, pensano i post-nazisti vicinissimi a Salvini la cui trama è stata svelata da una fondamentale inchiesta di Claudio Gatti: I demoni di Salvini, appena uscita da Chiarelettere).
Una seconda questione riguarda l’estrema fragilità del nostro patrimonio culturale. Nell’articolo che scrissi (tra i primi: su Repubblica del 18 febbraio 2018) sul passaggio di Trisulti a Bannon, mi domandavo: «E se domani una Scientology, o qualche setta danarosa, si volesse prendere un altro monumento, cosa risponderebbe il nostro Ministero? Non stiamo forse aprendo la strada ad un pericolosissimo shopping internazionale, attraverso il quale i più singolari movimenti potranno acquisire fantastiche sedi di rappresentanza nel nostro Paese? È ormai da tempo evidente che l’alienazione (materiale o morale) del patrimonio culturale italiano rischia di negare alla radice il progetto della Costituzione, che lo vuole leva fondamentale per il “pieno sviluppo della persona umana” e per il “progresso spirituale della società”. Ma era difficile anche solo immaginare che proprio un pezzo pregiatissimo di quel patrimonio diventasse la base italiana della propaganda del pensiero intollerante e inquietante di Bannon e Trump. Non sarà il caso di porsi finalmente qualche domanda?».
Due giorni dopo fui attaccato (tanto per cambiare!) dal Foglio, con un articolo dal titolo eloquente «I beni culturali negati ai “teocon”. Le assurde idee di Montanari contro un bando intelligente del Mibact». E il 22 sulla stessa Repubblica comparve una lunga intervista a Benjamin Harnwell (l’uomo di Bannon cui era affidata Trisulti) in cui non si citava mai il mio pezzo, e che aveva un titolo a dir poco accomodante: « È vero, stimo Bannon ma salverò la Certosa».
In gioco c’era il giudizio sulla monetizzazione del patrimonio culturale definitivamente compiuto da Matteo Renzi e Dario Franceschini: tutta la bellezza dell’Italia doveva finalmente obbedire all’unica vera religione, quella del mercato.
Da qui derivava l’aberrante idea di assegnare i nostri monumenti a chi offriva di più: e Bannon aveva offerto 100.000 euro l’anno, a fronte di alcune piccole cooperative di giovani studiosi precari, che potevano tirarne fuori 4000 o 6000. E quando Nicola Zingaretti, come presidente del Lazio, chiese di rivedere l’assegnazione di Trisulti a Bannon, anche lui seppe opporre alla distopia dell’internazionale nera solo il mantra della ‘valorizzazione.
Ed è qui la morale della storia, che va ben oltre la cronaca amministrativa delle carte del Mibac.
In Franceschini che dà un monumento nazionale a Bannon ‘perché così vogliono le regole del mercato’ c’è tutta la tragedia della post-sinistra europea, diventata – da Blair in poi – la casta dei sacerdoti del mercato, e dunque dello stato delle cose. Il dramma del voto giovanile alla Lega sta tutto qua: nell’assenza, dall’altra parte, di una qualunque visione del mondo che vada oltre il dominio eterno dei ricchi.
Non basta riprendersi Trisulti, bisognerebbe avere una politica, una visione, un’utopia di giustizia ed eguaglianza a cui consacrarla. Come quella della nostra Costituzione, per esempio.