Due uomini accusati del tentativo di omicidio del boss rivale Marco Raduano. L’agguato risale al 21 marzo 2018, poche ore dopo la manifestazione a Foggia di Libera nella Giornata del ricordo delle vittime di mafia: un anno prima e un anno dopo, nello stesso giorno, altri due agguati a persone legate ai clan. Il presunto killer alla mamma: "Non è morto e siamo rivali". La donna rispondeva: "Perché ti sei impelagato in questa immondizia"
Lo avevano raggiunto mentre stava rientrando a casa la sera del 21 marzo 2018 e avevano esploso diversi colpi di pistola colpendolo alle braccia, ma avevano fallito l’obiettivo: eliminare Marco Raduano, il boss scissionista della faida di Vieste. Un anno e due mesi dopo, i due killer hanno un volto, almeno secondo la procura antimafia di Bari che ne ha chiesto e ottenuto l’arresto: sono Giovanni e Claudio Iannoli, già detenuti a Siracusa e Terni per altri reati.
“Volevano compiere una carneficina” – Sono loro, stando alla ricostruzione delle indagini di polizia e carabinieri, gli esecutori materiali dell’agguato al capo di uno dei due clan in lotta dal 2015 per il controllo di Vieste. Gli investigatori avrebbero arrestato anche il mandante, Girolamo Perna, se la vendetta non lo avesse abbattuto il 26 aprile a colpi di fucile calibro 12, il marchio di ‘fabbrica’ degli omicidi della mafia foggiana. La vittima numero dieci della guerra del Gargano, aperta dall’omicidio di Angelo Notarangelo, che per anni è stato il boss indiscusso del paese. I due Iannoli volevano compiere una carneficina uccidendo in un colpo solo i tre presunti esponenti di spicco del gruppo mafioso rivale dei Raduano. Progettavano di ammazzarli nei vicoli di Vieste, durante l’estate 2018, quando la città si riempie di turisti, mettendo così a rischio la vita di innocenti. Il piano sarebbe poi sfumato a causa degli arresti eseguiti nell’agosto scorso dalla Polizia.
Gli omicidi del 21 marzo – L’attentato alla vita di Raduano avvenne nello stesso giorno in cui proprio a Foggia, nella mattinata, si tenne la manifestazione nazionale per la Giornata del ricordo e dell’impegno per le vittime di mafia, promossa da Libera. Una data che gli inquirenti della Dda definiscono “evocativa” e “strana per essere una semplice coincidenza”: la manifestazione di Libera. Esattamente un anno prima, il 21 marzo 2017, era stato ucciso Giuseppe Silvestre e anche quest’anno la mafia garganica è tornata a uccidere nel giorno scelto per commemorare le vittime di mafia abbattendo a Mattinata Francesco Pio Gentile, pregiudicato citato negli atti che hanno portato allo scioglimento per le infiltrazioni dei clan il comune foggiano. In quella data “anziché celebrare la vita la mafia celebra la morte”, ha detto il procuratore Giuseppe Volpe. Dopo l’agguato fallito del 21 marzo 2018 in cui Marco Raduano era rimasto ferito, i cugini Iannoli “evidenziano il proposito di porre fine alla guerra con l’eliminazione di almeno tre esponenti rivali” spiegano gli inquirenti riferendo il contenuto di alcune intercettazioni, pianificando “un agguato per ucciderli contemporaneamente, in un periodo, quello estivo, in cui Vieste è piena di turisti”. “Li devi acchiappare a tutti e tre insieme, – dice Gianni Iannoli in una conversazione – sarebbe un prosciutto proprio, tutti e tre insieme sono crudo e mozzarella“.
La guerra di mafia del Gargano – È la sanguinosa guerra di mafia in corso nel Gargano dove i clan si contendono il controllo del traffico di marijuana dall’Albania. Una faida che dal 2015 ad oggi conta dieci morti ammazzati e un caso di lupara bianca nella sola Vieste. Dall’uccisione nel gennaio 2015 di Notarangelo è stata un’escalation, nella quale sono morti 6 tra ventenni e trentenni. Tra i primi a cadere c’è Giampiero Vescera, 27 anni, imparentato con Raduano, ammazzato nel settembre 2016. Il 2017 si era aperto con la morte di Vincenzo Vescera (33 anni) e pochi giorni dopo i killer erano tornati in azione per assassinare Onofrio Notarangelo, cugino di Angelo, e il suo figlio 27enne, Pasquale, era poi scomparso nel nulla a maggio. A luglio l’omicidio fa più scalpore perché commesso in mezzo alla gente: Omar Trotta, 31 anni, viene assassinato nel suo locale del centro all’ora di pranzo. Pochi mesi prima era stato vicino a collaborare con i magistrati, dopo aver scoperto di essere finito nel mirino del clan rivale. Il 6 aprile 2018 viene ritrovato in campagna il cadavere di Giambattista Notarangelo, altro cugino del boss Angelo. Poco più di un anno fa, il 25 aprile, cade sotto colpi di pistole e kalashnikov Antonio Fabbiano, 25 anni. Neanche due mesi dopo è il turno di Gianmarco Pecorelli, 22 anni, ucciso mentre era in scooter con un amico lungo la statale che porta a Peschici.
Il killer confidava omicidi alla madre – Un tentato che il killer, Gianni Iannoli, aveva confidato alla madre. La madre, però, lo rimproverava chiedendogli perché si fosse “impelagato in questa immondizia“, “in questa merda di cosa”. Il ruolo della mamma del pregiudicato emerge dalle intercettazioni ambientali captate dagli inquirenti della Dda in casa di Gianni Iannoli. “I figli alle mamme dicono tutte cose“, dice la donna al 33enne che le stava raccontando dell’agguato fatto a Raduano, scampato alla morte perché “si è bloccato il fucile” spiega l’uomo. Gianni Iannoli rivela alla madre anche i nuovi ruoli criminali in città: “Prima non c’entravo niente io nei fatti loro, mo mi sono messo in mezzo” e ancora “prima comandava Marco (Raduano, ndr), gli ho sparato. Mo voglio comandare io. Non è morto e siamo rivali“. “La speranza è che ci possa essere una collaborazione, una risposta del territorio a partire dagli stessi parenti di fronte a gravi fatti di reato. Le indagini continueranno e chi ha elementi – dice quasi a voler lanciare un appello – questo è il momento di rappresentarli compiutamente”, dice la pm della Dda di Bari Luciana Silvestris che ha coordinato le indagini. “Il terrore e la ferocia con cui si manifesta la criminalità organizzata garganica e del territorio del foggiano – ha detto il procuratore aggiunto Francesco Giannella – non devono portare la gente a credere che si tratti di fenomeni criminali connotati dalla invincibilità. Non sono invincibili. Il lavoro dei Carabinieri e della Polizia lo dimostra”. “Certo – aggiunge – con la collaborazione della gente il lavoro potrebbe essere più rapido e darebbe un segnale di partecipazione della società ad azioni di legalità che faticosamente facciamo”.