Cesare Battisti non vuole passare la vita in carcere. I suoi avvocati hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione contro la sentenza di ergastolo emessa nei suoi confronti dalla Corte d’Assise d’appello di Milano il 22 maggio di quest’anno. In quell’occasione, i giudici avevano respinto la richiesta della difesa di commutare la pena del carcere a vita a 30 anni di reclusione. Battisti, condannato per quattro omicidi commessi alla fine degli anni ’70, era stato arrestato dopo 37 anni di latitanza lo scorso gennaio in Bolivia. Secondo il difensore Davide Steccanella, la pena trentennale che era stata concordata nell’accordo di estradizione tra Italia e Brasile dovrebbe essere applicata anche se l’ex terrorista è stato arrestato in Bolivia.

Nel ricorso alla Cassazione, in cui si chiede di annullare la sentenza di ergastolo, si sostiene che l’espulsione dalla Bolivia non abbia rispettato le norme internazionali (Patto sui diritti civili). Inoltre, la mancata applicazione dell’accordo con il Brasile avrebbe violato il “principio di buona fede internazionale” sancito dalla legge del 1974 che ha ratificato la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Nelle pagine del ricorso si legge che, una volta perfezionata la procedura di estradizione, “il soggetto assume la qualifica giuridica di estradato a tutti gli effetti, status giuridico che non viene certamente meno a seconda del luogo ove venga successivamente fermato” e che il caso di Battisti, secondo gli avvocati, “non risultava affatto incompatibile con un successivo allontanamento da parte di altro Stato (Bolivia)” dove è stato fermato e poi consegnato alla polizia italiana per essere poi trasferito a Ciampino e infine in carcere in Sardegna.

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