Secondo l'accusa, Mario Marenco e la sua compagna, Silvia Grosso, cercavano di proteggersi dalle inchieste e per farlo si erano affidati a Giuseppe Campaniello, con un “passato militare e nei servizi segreti”: nell'avviso di chiusura indagini il suo ruolo di addetto alla sicurezza a capo di una squadra di 5 uomini. Indagato anche un ufficiale superiore in congedo, Luigi Antonio Cappelli, per favoreggiamento personale
Servizi segreti, agenti al soldo e ufficiali amici. Così secondo l’accusa Mario Marenco, patron di Borsalino, e la sua compagna, Silvia Grosso, cercavano di proteggersi dalle inchieste. Per farlo l’imprenditore 64enne, indagato per bancarotta fraudolenta e altri reati dalla procura di Asti per il fallimento di dodici società, si era affidato a un manager con “passato militare e nei servizi segreti”. Il suo nome è Giuseppe Campaniello, ha 46 anni ed è nato a Milano. Dall’avviso di conclusione dell’inchiesta “Dedalo” condotta dalla Guardia di Finanza di Torino e Asti, che ieri è stato notificato ai 26 indagati, emerge il suo ruolo e anche quello di un colonnello della Guardia di Finanza ora in congedo, Luigi Antonio Cappelli, che cercava di raccomandare la Grosso ai colleghi di Asti impegnati nell’inchiesta.
L’addetto alla sicurezza
Secondo la procura astigiana, Campaniello depistava e arruolava uomini delle forze dell’ordine per la sicurezza personale di Marenco. L’ex militare, manager di una società, è indagato insieme all’imprenditore e altre persone per la bancarotta fraudolenta di due aziende, Speia e Metanprogetti: tra il gennaio e l’aprile 2014 “in concorso tra loro”, avevano “sottratto e distrutto” i documenti sulle due società, come le mail “più scottanti”. Per il sostituto procuratore Luciano Tarditi avrebbe anche fatto pressioni sui cronisti per evitare che pubblicassero notizie sul crac Marenco.
Il manager “con passato militare e nei servizi segreti” è indagato insieme a Marenco e Grosso per appropriazione indebita: secondo l’accusa, l’imprenditore aveva prelevato dai conti della Metanprogetti poco più di 609mila euro da destinare a Campaniello per attività diverse da quelle dell’azienda. Quali? La sicurezza personale di Marenco e famiglia e anche la protezione in “audaci operazioni finanziarie in Italia e all’estero”, in Francia e Ucraina. L’accusa lo ritiene un “reclutatore” degli uomini della security: un ispettore e un assistente della questura di Brescia, un assistente della polizia stradale bresciana, un ispettore della Guardia di finanza di Roma e un privato. I cinque uomini e Campaniello sono indagati di accesso abusivo a un database delle forze di polizia, lo Sdi (“Sistema di indagine”), da loro utilizzato per controllare le persone o i veicoli da cui Marenco e Grossi si sentivano seguiti.
Inoltre sono accusati di corruzione perché, nonostante gli incarichi, lavoravano come bodyguard e autisti pronti a usare la forza su chi si metteva contro l’imprenditore astigiano. In alcuni casi si sono “contrapposti” a due agenti dei servizi segreti italiani che “esercitavano una vigilanza ancora più stretta e pregnante su Marenco anche accompagnandolo nelle sue missioni in Ucraina nell’ambito delle operazioni di acquisizioni di fonti energetiche”. E per coordinare la “squadra”, il manager 46enne utilizzava un telefono “nero”, ovvero criptato e impossibile da intercettare. “Campaniello vuole dimostrare la liceità di ogni suo comportamento – dichiara il suo difensore, l’avvocato Daniel Sussman Steinberg – e vuole affrontare il dibattimento per dimostrare l’infondatezza di ogni addebito”.
Il colonnello della Guardia di finanza
C’è anche un ufficiale superiore della Guardia di finanza tra le persone indagate al termine dell’inchiesta condotta dai suoi colleghi del comando provinciale di Asti e di Torino. Si tratta di Luigi Antonio Cappelli, ora in congedo, indagato per favoreggiamento personale. Secondo l’accusa, nell’estate 2014 l’ufficiale aveva contattato l’allora comandante provinciale di Asti, il colonnello Michele Vendola, per chiedere notizie sull’indagine riguardante Grosso, la compagna di vita di Marenco definita da Cappelli “amica nostra”. La donna si era rivolta all’ufficiale superiore che, a sua volta, si raccomandava al collega di “trattarla bene”, di avere “un occhio di riguardo” affinché non fosse “trattata come una pezza da piedi”. L’allora comandante di Asti e gli uomini impegnati nell’inchiesta non si erano fatti sorprendere e, su autorizzazione della procura, avevano registrato la telefonata per la quale Cappelli è finito sotto inchiesta.