Inizia l’era della Fiorentina a stelle e strisce. Dopo l’arrivo a Milano, lunedì sera, del miliardario italo-americano Rocco Commisso e l’incontro avvenuto nella mattinata di martedì nell’ufficio milanese dei fratelli Della Valle, secondo le ultime indiscrezioni sono arrivate le firme delle due parti sul passaggio di proprietà. Manca solo l’ufficialità che avrà bisogno dei tempi tecnici di rito e potrebbe arrivare già giovedì. Ma appena finito il meeting tra il presidente dei New York Cosmos e i proprietari di Tod’s, alle 14.40, il fondatore di Mediacom, azienda fornitrice di tv via cavo negli Stati Uniti, di origini calabresi e con un patrimonio stimato in 4,5 miliardi di dollari, è salito in auto e si è diretto in un noto studio legale della città dove avrebbe messo la firma sull’acquisto del club viola. Un’operazione che si aggira intorno ai 170 milioni di euro e che mette fine agli ormai insanabili contrasti tra i Della Valle e un’ampia fetta della tifoseria fiorentina.

A Commisso, adesso, il compito di riportare il club in Europa e realizzare il progetto del nuovo stadio, come chiedono i tifosi dopo una stagione in cui la squadra si è ritrovata a lottare per la salvezza all’ultima giornata di campionato, chiudendo al 16esimo posto. Commisso potrebbe arrivare in riva d’Arno già nel fine settimana, secondo le ultime indiscrezioni, così da mettere subito le basi della nuova società prima di ripartire per gli States. Il suo arrivo potrebbe anche cambiare il futuro di molti top player viola che, dati certamente per partenti, potrebbero valutare la possibilità di far parte della nuova Fiorentina. Uno su tutti, il gioiellino della Nazionale Federico Chiesa.

Un miliardario americano per Firenze e l’amore mai sbocciato con i Della Valle
L’errore che il nuovo patron non dovrà commettere, imparando da quelli dei suoi predecessori, è di mantenere le distanze dalla storia della squadra e soprattutto della città. Non basterà mettere qualche “bandiera” o campione del passato nelle posizioni chiave per dare un tocco di fiorentinità al club. Dovrà dimostrare l’attaccamento nel quotidiano, rompendo con la gestione in esilio che ha caratterizzato gli ultimi anni dei Della Valle. La cultura sportiva americana non lo aiuta: il calcio in Italia, in special modo a Firenze, non è vissuto come uno show, ma come una religione. Saranno quindi i collaboratori “locali” a dovergli dare buoni consigli per diventare un presidente amato dalla tifoseria.

Quello tra Firenze e i Della Valle, invece, è un amore mai veramente sbocciato, un abbraccio rimasto a metà. Nell’agosto del 2002 i fratelli di Casette d’Ete si presentarono alla piazza rilevando le ceneri di una società fallita dopo la gestione di Vittorio Cecchi Gori. Una città che doveva ripartire dalla C2, un palcoscenico che non le apparteneva ma che rappresentava la nuova triste realtà. E l’entusiasmo, da entrambe le parti, era grande. Molti fiorentini lo ricordano ancora con affetto: “Si godeva più a spalare la neve a Gubbio che a vedere la Fiorentina in queste condizioni” è una frase che in Fiesole, allo storico Bar Marisa e per le strade della città si è sentito pronunciare sempre più spesso.

La voglia di riprendersi ciò che gli era stato tolto era troppo alta per permettere ai tifosi di cedere allo sconforto. Nonostante si trattasse di un campionato di C2, nonostante nessuno sapesse chi fossero Christian Riganò, il bomber di Lipari che fino a poco tempo prima faceva il muratore, o i giovanissimi Alino Diamanti e Fabio Quagliarella. Un gruppo di sconosciuti guidato da Pietro Vierchowod, prima, e Alberto Cavasin, dopo, nel quale spiccavano solo i nomi di Angelo Di Livio, che accettò di scendere ai confini del professionismo per amore della piazza, e quelli di qualche giocatore che aveva calcato i campi di Serie A, come Claudio Bonomi, Riccardo Maspero e Roberto Ripa.

L’entusiasmo intorno a quella squadra, che vinse il campionato e venne promossa direttamente in serie B per meriti sportivi, era enorme, tanto da portare costantemente 20mila fiorentini fuori dalla città per raggiungere i più remoti campi di provincia, con notevoli problemi di gestione dell’ordine pubblico. Oltre 20mila abbonamenti quell’anno, più che nella stagione 2016-17. Poi ci sono state le due magiche notti di Perugia e Firenze per lo spareggio che riportò la squadra in A. Un ritorno a casa che nascondeva il fantasma di Calciopoli che a fine anno trascinò la città di nuovo sull’orlo dell’abisso da cui era appena uscita.

La B venne scongiurata e da lì iniziò una cavalcata che sembrò sancire definitivamente l’amore tra la tifoseria e i Della Valle: la cavalcata Europa League, le notti di Champions, la Coppa Italia persa nella finale di Genny la Carogna. Un sogno dopo anni di incubi che portò i Della Valle a promettere “lo scudetto entro il 2011”, un obiettivo a cui la squadra non si è nemmeno avvicinata negli ultimi 17 anni.

Ma c’era qualcosa che non riusciva a unire definitivamente proprietà e città: i fratelli, imprenditori di successo, erano accusati di vivere la squadra come un’azienda, senza passione, senza coinvolgimento e partecipazione, in una città, Firenze, che invece trasuda viola. Qui la squadra è al centro della vita cittadina, fa parte della quotidianità e non può essere considerata un semplice divertissement.

Questo è stato il grande errore dei Della Valle che ha portato parte della tifoseria a rimpiangere Vittorio Cecchi Gori, meno dotato da un punto di vista gestionale, ma capace di arringare la curva salendo sulla balaustra della tribuna d’onore dove affisse lo striscione “Batistuta è incedibile”. I due fratelli, invece, hanno introdotto nel vocabolario fiorentino termini come “plusvalenza” e “autofinanziamento”, mai sentiti a Firenze fino a quel momento. Hanno giustificato i fallimenti con le disparità sui diritti tv, gli ostacoli sulla costruzione del nuovo stadio e il comportamento della tifoseria. Mentre a Milano, Roma, Torino e Napoli si investono decine di milioni ogni anno per diventare sempre più competitivi. E quando si rivolse ai tifosi in contestazione definendoli “clienti”, il presidente Mario Cognigni segnò la prima insanabile spaccatura tra la proprietà e la città.

Perché a Firenze certe esternazioni non vengono mai dimenticate. Possono essere messe da parte, pronte per essere tirate fuori al primo contrasto, al primo scontro, ma rimangono lì, ancora ardenti sotto la cenere. Così, da salvatori i Della Valle diventarono “ciabattini” e Firenze reagì come suo solito di fronte a quello che considerava un attacco, un affronto: si chiuse a riccio, si compattò, concedendo rarissimi spazi di dialogo alla proprietà che, comunque, non li ha mai cercati. “Abbiamo esiliato Dante, poeta divino, figuriamoci te illustre ciabattino”, recitava uno striscione del 7Bello, uno dei club storici della Fiesole, affisso fuori dal Franchi. A ogni crisi, per ogni campione che se ne andava, la contestazione tornava, inesorabile, e gli animi permalosi di Firenze e dei Della Valle non contribuivano alla riappacificazione. Fino all’ultima stagione, con il coro “Della Valle vattene” a fare da colonna sonora a ogni partita casalinga, e non solo.

Se si vuol trovare un punto di non ritorno, va forse individuato nel mercato invernale della stagione 2015-16: la Fiorentina di Paulo Sousa gioca un gran calcio e, contro ogni pronostico, lotta insieme all’Inter per il primo posto in classifica. Serve però un difensore, un ultimo sforzo della proprietà per puntare seriamente ai vertici. L’unico ad arrivare, in prestito, è Yohan Benalouane: zero presenze a fine campionato. La Viola chiude al quinto posto: è rivolta. Fino all’ultima stagione, con una giovanissima Fiorentina dalle gambe tremanti che si gioca la salvezza all’ultima giornata contro Genoa ed Empoli. Anche a quella partita, in casa, i Della Valle non si presenteranno. Erano in città fino alla mattina, ma se ne sono andati in anticipo. Il matrimonio era già finito.

Twitter: @GianniRosini

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