Una “netta e inequivocabile condanna” del Pd, “finora silente“, nei confronti degli esponenti del partito coinvolti nel caos del Csm e delle nomine dei procuratori, cioè l’ex ministro dello Sport Luca Lotti e l’ex sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri. Perché i loro comportamenti “diretti a manovrare sulla nomina del successore di Giuseppe Pignatone sono assolutamente certi“. Una svolta necessaria per il Pd “se vuole essere credibile nella sua proposta di rinnovamento e di difesa dello stato costituzionale di diritto dell’aggressione leghista“. A chiederlo è l’eurodeputato del Partito Democratico Franco Roberti che fino al novembre 2017 è stato il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Ma il suo intervento, scritto su facebook e rilanciato sulle agenzie, non provoca alcuna reazione nei vertici del partito che lo ha candidato.

Dopo le parole di Roberti il segretario democratico Nicola Zingaretti interviene per due volte ma non risponde mai alle questioni sollevate dall’ex magistrato ora europarlamentare. “Sulla vicenda del Csm – dice – va fatta al più presto chiarezza e le indagini dovranno accertare la verità e le responsabilità individuali affinché non rimangano ombre su temi così delicati. Capire che cosa è accaduto è indispensabile, anche per pensare ad anticorpi e possibili riforme a tutela del miglior funzionamento della giustizia e del Csm”.

Zingaretti: “Auspico che chi è coinvolto collabori”
Zingaretti si limita “all’auspicio” che “tutti coloro che in qualche modo sono rimasti coinvolti, collaborino ad accertare la verità“. E si concentra più sulle eventuali conseguenze e reazioni all’interno della magistratura: “Vedo che nel Csm molti stanno cominciando a reagire. Mi sembra che questa vicenda ponga comunque il tema di una riforma del Csm che ne aumenti trasparenza e introduca anticorpi sul suo funzionamento”. Alla trasparenza della politica, alle sue manovre sulle nomine nella magistratura e agli eventuali anticorpi dei partiti per frenare i comportamenti che inquinano l’autonomia del potere giudiziario, il leader del Pd non fa alcun cenno. Nessun riferimento, per esempio, a un eventuale coinvolgimento dei probiviri del partito per valutare il comportamento di due parlamentari importanti come l’ex ministro Lotti e l’ex sottosegretario Ferri.

Lotti: “Accusa infamanti contro di me”. Ferri: “Di sera uno può fare quello che vuole”
Dopo alcuni giorni parlano anche i deputati interessati. Più duro Lotti: “Alla fine di questa storia, statene certi, chiederò a tutti, nessuno escluso, di rispondere delle accuse infondate e infamanti contro di me”. “Sui giornali e nei tg il mio nome è stato tirato in ballo, sempre a sproposito – aggiunge – nonostante io non abbia commesso nessun reato. Pare che incontrarmi o cenare con me sia diventato il peggiore dei reati: se così fosse in molti dovrebbero dimettersi, magistrati e non. Detto questo, io per ora ho scelto di non commentare. Lo farò sicuramente a tempo debito”.

Ferri, invece, parla a ilfattoquotidiano.it e sostiene che “non c’è niente di male” incontrare, di notte, in albergo, Lotti, Palamara e altri magistrati. Anzi: “Di sera uno può fare quello che vuole”.

Roberti: “Caso Palamara è solo la punta dell’iceberg, prova di un disegno iniziato con il governo Renzi”
I comportamenti “assolutamente certi“, come li chiama Roberti, sono quelli che – secondo gli atti dell’inchiesta della Procura di Perugia – hanno visto Lotti e Ferri, in alcuni “dopocena”, discutere insieme a Luca Palamara e ad altri 5 consiglieri del Csm per pilotare le nomine dei procuratori capo. Tra questi, sempre secondo la Procura, il successore di Giuseppe Pignatone alla guida dell’ufficio giudiziario inquirente di Roma, lo stesso che ha chiesto il processo per Lotti nell’inchiesta Consip (l’accusa è favoreggiamento per aver rivelato la presenza di cimici). Roberti, però, va più in là perché secondo lui il caso Palamara è solo “la punta dell’iceberg”, ma è “la prova tangibile” di un disegno partito con la riforma dell’età pensionabile voluta dal governo Renzi: “Nel 2014 – scrive Roberti su facebook – il governo Renzi, all’apice del suo effimero potere, con decreto legge, abbassò improvvisamente, e senza alcuna apparente necessità e urgenza, l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni. Quella sciagurata iniziativa era palesemente dettata da un duplice interesse“.

Il primo punto, secondo Roberti, era quello di “liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti (in qualche caso inseriti in ruoli di fiducia di ministri, alla faccia della indipendenza dei magistrati dalla politica)”. E qui il riferimento appare chiaro: Giovanni Melillo, ex capo di gabinetto dell’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando, poi diventato procuratore capo a Napoli. Il secondo: “Tentare di influenzare le nuove nomine in favore di magistrati ritenuti (a torto o a ragione) più ‘sensibili‘ di alcuni loro arcigni predecessori verso il potere politico“. Dunque per Roberti “il disegno è almeno in parte riuscito perché da allora, mentre il Csm affannava a coprire gli oltre mille posti direttivi oggetto della ‘decapitazione‘, si scatenava la corsa selvaggia al controllo dei direttivi, specie delle procure“. Dunque per Roberti “il disegno è almeno in parte riuscito perché da allora, mentre il Csm affannava a coprire gli oltre mille posti direttivi oggetto della ‘decapitazione‘, si scatenava la corsa selvaggia al controllo dei direttivi, specie delle procure“. Roberti si rivolge direttamente ai media: “Chiedo alla libera informazione (sperando che esista ancora) di non perdere l’attenzione su questo scandalo“.

 

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