Sangue chiama sangue, spari dopo gli spari. L’unica via per risolvere i conflitti è premere il grilletto di nuovo. Una legge che sembra scritta nelle rocce del Gargano a leggere le intercettazioni contenute nell’ordinanza cautelare emessa dal gip del Tribunale di Bari, Giovanni Anglana, nei confronti dei cugini Giovanni e Claudio Iannoli, elementi di spicco del clan Perna di Vieste in lotta con i rivali comandanti da Marco Raduano. Proprio del tentato omicidio del capo dell’altra fazione sono accusati i cugini Iannoli: 7 colpi di fucile calibro 12 e di kalashnikov ai quali “Pallone”, come è soprannominato Raduano, è sopravvissuto il 21 marzo 2018.
Una faida, quella di Vieste, aperta dall’omicidio di Angelo Notarangelo, per anni capo indiscusso di questo paese di 14mila anime ai piedi del promontorio in provincia di Foggia dove dal 2015 sono stati raccolti dieci cadaveri e resta aperto un caso di lupara bianca. Stradine in pietra e acqua limpida, nella quale i turisti vengono a rilassarsi d’estate e nelle notti di mare calmo in ogni stagione arrivano quintali di marijuana dall’Albania grazie ai buoni rapporti con i “narcos” di Tirana. La droga come miccia, le pistole come motore di una mattanza. Morti che chiamano morti in un eterno ripetersi che incute paura ai protagonisti, ma non li spinge mai a vuotare il sacco e salvarsi, restando in attesa del prossimo condannato dai rivali.
Nonostante gli uomini della malavita viestana siano quasi tutti giovanissimi. Dei dieci morti che questa guerra ha lasciato sull’asfalto otto avevano meno di 35 anni. Giampiero Vescera, ammazzato nel settembre 2016, ne aveva 27, Vincenzo Vescera cinque in più. Pasquale Notarangelo era un 27enne quando è scomparso nel nulla due anni fa. Omar Trotta, 31. Antonio Fabbiano (foto a sinistra) ne aveva 25. Gianmarco Pecorelli appena 22. Girolamo Perna, uno dei due boss della città, lo hanno steso poco più di un mese fa ad appena 29 anni. “È normale”, risponde Giovanni Iannoli, che il giorno prima dell’agguato teso a Raduano aveva compiuto 32 anni, a sua madre quando gli chiede perché debbano uccidere. “È normale, quando uno non vuole fare qualche cosa va… e uccide qualcuno”. Rappresaglia dopo rappresaglia. La stessa che Iannoli teme dopo aver provato a uccidere Raduano. Lo confida sempre alla madre, consigliandole di prendere precauzioni, non sapendo di essere ascoltato da poliziotti e carabinieri. “Perché non gli possono andare sopra a casa e possono ucciderlo?”, chiede la donna parlando del cugino Claudio, pure lui arrestato. “Sì, che lo possono uccidere. Come può pure darsi che possono venire qua”, risponde il reggente di Perna.
Lo raccontava spesso Iannoli: “Che poi lo so che tocca pure a me… perché già me l’hanno mandato a dire”. Nessuna fuga né pentimento, anzi il “rammarico” di non essere riuscito – stando alla ricostruzione della Dda barese – ad eliminare Raduano alcuni mesi prima, perché “se andava bene mo era tutta un’altra cosa” e quindi la necessità di riprovarci, anche perché nel frattempo era stato ucciso uno dei loro. L’obiettivo di quella che nelle carte viene definita una “vendetta” era stato Gianmarco Pecorelli, 22 anni e già considerato il cassiere del clan Perna, ammazzato tra le sterpaglie della strada comunale che porta a Peschici. Dai discorsi di Iannoli, spiega il gip, “emergeva il timore” che colpendo gli avversari “in distinti episodi” dopo un primo agguato gli altri “sarebbero stati molto più accorti e sicuramente si sarebbero allontanati” da Vieste.
Quindi il progetto: una “carneficina”, come l’ha definita la procura antimafia di Bari guidata da Giuseppe Volpe. Volevano colpirli tutti insieme nell’estate 2018 per le vie della città, in piena stagione turistica. “Tutti e tre insieme li devi trovare”, diceva Iannoli davanti a un amico. “Mado’, lo sai che sarebbe? Un prosciutto proprio… crudo e mozzarella. Quello è un crudo e mozzarella”. Se i piani non fossero saltati per gli arresti ordinati alla fine di indagini su altri reati, sarebbe stata una strage.
Il tutto in un quadro mutevole degli equilibri e degli uomini sullo scacchiere, con Iannoli che nel 2018 racconta anche di una proposta di pace arrivata da Raduano, in cambio del tradimento del suo boss: “Ha detto ‘se fai così, possiamo fare la pace, se no ci sarà ancora molto sangue'”. Una “scellerata proposta”, la definisce il gip, di fronte alla quale Iannoli reagisce con diffidenza immaginandola come “un tranello per liberarsi del rivale e poi attaccare, sbarazzandosi più agevolmente di tutti gli altri componenti” del clan rivale. “Secondo me è un trabocchetto – storce il naso Iannoli – È solo un incantesimo”. Alla fine Perna (foto sopra a destra) è stato ucciso non si sa da chi lo scorso 26 aprile a colpi di fucile calibro 12, mentre Iannoli era già in cella da mesi. La vittima numero dieci, il pesce più grosso rimasto impigliato tra le strade di Vieste. Chissà fino a quando resterà l’ultimo in questa guerra tra giovani e feroci malavitosi. E loro la chiamano “normalità”.