Nell'ordinanza cautelare nei confronti dei cugini Giovanni e Claudio Iannoli, elementi di spicco del clan Perna in lotta contro i rivali comandanti da Marco Raduano, c'è tutta la ferocia della faida che ha fatto dieci morti e una lupara bianca in 3 anni. Otto aveva meno di 35 anni. "Che poi lo so che tocca pure a me...", diceva uno degli arrestati. Ma di fronte al timore di essere ucciso, l'unica risposta immaginata era la rappresaglia nei confronti del clan che contende il controllo della droga dall'Albania
Sangue chiama sangue, spari dopo gli spari. L’unica via per risolvere i conflitti è premere il grilletto di nuovo. Una legge che sembra scritta nelle rocce del Gargano a leggere le intercettazioni contenute nell’ordinanza cautelare emessa dal gip del Tribunale di Bari, Giovanni Anglana, nei confronti dei cugini Giovanni e Claudio Iannoli, elementi di spicco del clan Perna di Vieste in lotta con i rivali comandanti da Marco Raduano. Proprio del tentato omicidio del capo dell’altra fazione sono accusati i cugini Iannoli: 7 colpi di fucile calibro 12 e di kalashnikov ai quali “Pallone”, come è soprannominato Raduano, è sopravvissuto il 21 marzo 2018.
Una faida, quella di Vieste, aperta dall’omicidio di Angelo Notarangelo, per anni capo indiscusso di questo paese di 14mila anime ai piedi del promontorio in provincia di Foggia dove dal 2015 sono stati raccolti dieci cadaveri e resta aperto un caso di lupara bianca. Stradine in pietra e acqua limpida, nella quale i turisti vengono a rilassarsi d’estate e nelle notti di mare calmo in ogni stagione arrivano quintali di marijuana dall’Albania grazie ai buoni rapporti con i “narcos” di Tirana. La droga come miccia, le pistole come motore di una mattanza. Morti che chiamano morti in un eterno ripetersi che incute paura ai protagonisti, ma non li spinge mai a vuotare il sacco e salvarsi, restando in attesa del prossimo condannato dai rivali.
Lo raccontava spesso Iannoli: “Che poi lo so che tocca pure a me… perché già me l’hanno mandato a dire”. Nessuna fuga né pentimento, anzi il “rammarico” di non essere riuscito – stando alla ricostruzione della Dda barese – ad eliminare Raduano alcuni mesi prima, perché “se andava bene mo era tutta un’altra cosa” e quindi la necessità di riprovarci, anche perché nel frattempo era stato ucciso uno dei loro. L’obiettivo di quella che nelle carte viene definita una “vendetta” era stato Gianmarco Pecorelli, 22 anni e già considerato il cassiere del clan Perna, ammazzato tra le sterpaglie della strada comunale che porta a Peschici. Dai discorsi di Iannoli, spiega il gip, “emergeva il timore” che colpendo gli avversari “in distinti episodi” dopo un primo agguato gli altri “sarebbero stati molto più accorti e sicuramente si sarebbero allontanati” da Vieste.
Quindi il progetto: una “carneficina”, come l’ha definita la procura antimafia di Bari guidata da Giuseppe Volpe. Volevano colpirli tutti insieme nell’estate 2018 per le vie della città, in piena stagione turistica. “Tutti e tre insieme li devi trovare”, diceva Iannoli davanti a un amico. “Mado’, lo sai che sarebbe? Un prosciutto proprio… crudo e mozzarella. Quello è un crudo e mozzarella”. Se i piani non fossero saltati per gli arresti ordinati alla fine di indagini su altri reati, sarebbe stata una strage.