L’inchiesta sui magistrati Palamara, Fava e Spina e le conseguenze dell’inchiesta della procura di Perugia – per corruzione, favoreggiamento e rivelazione di segreto – su Csm e Anm ha riacceso lo scontro che è passato alla storia della cronaca giudiziaria come la guerra della procura di Milano. L’ex aggiunto del Dipartimento per i reati contro la pubblica amministrazione, Alfredo Robledo, ricorda come e quanto il Csm ha influito sulla sua carriera: il magistrato dopo una “battaglia” con il procuratore Edmondo Bruti Liberati era stato trasferito a Torino e dopo aver lasciato la magistratura è diventato presidente di una società: “Bruti Liberati, magistrato più noto per l’attività correntizia che per quella giudiziaria, rispetto alla vicenda Palamara dovrebbe avere il buon gusto di tacere. Ricordo solo come nel caso della mia nomina a Procuratore Aggiunto della Procura di Milano mi disse espressamente che avrei dovuto seguire le sue indicazioni perché la mia nomina era stata resa possibile dal voto di differenza di un consigliere di Magistratura Democratica, aggiungendo che lui avrebbe potuto far uscire dall’aula al momento del voto quel consigliere della sua corrente dicendogli di andare a fare la pipì ed io non sarei stato nominato. È tutto agli atti della mia denuncia al Csm – dichiara Robledo, ora numero uno della Impresa Sangalli Srl – Bruti non ha mai smentito queste mie affermazioni. Il Consiglio superiore della magistratura sul punto non fece una piega”.
L’ex magistrato ricorda come peraltro di quel Consiglio, che di fatto lo punì, “faceva parte Palamara, estensore della sentenza, ritenuta molto ‘controversa’, che mi allontanò da Milano. Sono anche da ricordare l’intervento a gamba tesa del Presidente Napolitano – ha aggiunto Robledo – che condizionò il Consiglio sulle decisioni prese circa le mie documentate critiche a Bruti, e i ripetuti ringraziamenti dell’allora capo del governo, Renzi, alla Procura di Milano, che, mostrando sensibilità istituzionale, aveva reso possibile la realizzazione di Expo 2015″. Nel giugno di cinque anni il Csm aveva rinviato la decisione sullo scontro interno alla Procura di Milano e aveva discusso su una lettera “segreta” dell’allora capo dello Stato. Il presidente della Repubblica, e per Costituzione presidente dello stesso Csm, aveva inviato all’allora vicepresidente Michele Vietti una lettera che richiamava la legge di riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006 proprio sul punto degli ampi poteri riconosciuti ai capi delle procure. Ovvero il punto centrale dell’esposto presentato da Robledo contro il procuratore Liberati, in cui venivano contestati i criteri di assegnazione di fascicoli importanti, dal caso Ruby all’inchiesta Expo.
Le dichiarazioni di Robledo sono arrivate dopo che le agenzie di stampa avevano riportato i commenti e le riflessioni di Bruti Liberati sul caso dell’ex presidente dell’Amn e consigliere del Csm, Palamara, e tutte le due derivazioni di questi giorni – con gli incontri tra toghe e politici e l’ex numero uno della procura milanese: “È un fatto di una straordinaria gravità, ricorda molto la vicenda della P2 del 1981, una vicenda di inquinamento gravissimo. C’è schieramento trasversale tra magistrati e politici” che sembra avere un unico “scopo principale, quello di cancellare una damnatio memoriae, di cancellare la memoria di Pignatone“. Contro Pignatone e l’aggiunto Paolo Ielo, secondo gli inquirenti umbri sarebbe stata orchestrata una manovra per screditarli.
Ma, aggiunge Bruti durante la trasmissione Agora’ su Rai3, “Qui il problema non è di frequentazioni di magistrati con politici” poiché i magistrati “che hanno alto livello di responsabilità hanno più di un’occasione di incontri istituzionali”. Incontri nei quali, conclude, “si deve parlare dei problemi della giustizia, ma di problemi generali di funzionamento della giustizia, non certo di intervento per una nomina che favorisca o sfavorisca qualcuno. Qui la distinzione è così semplice che credo la capiscano tutti. È una distinzione nettissima”.