E’ grazie alle azioni solitarie di uomini coraggiosi (da dj Fabo a Davide Trentin) che l’Italia ha dovuto quantomeno prendere atto che a volte il dolore fisico raggiunge livelli di insopportabilità tali da preferire la morte. Gli italiani hanno scoperto, ma non avallato, l’esistenza dei viaggi oltralpe (oltre 60 nel 2017) nei quali uomini prostrati da un dolore senza possibilità di lenimento sono riusciti a porre fine, dignitosamente, ad una vita che non volevano più. Ma per quanto riguarda la sofferenza psichica, no. Non solo l’Italia, ma anche l’Europa, pare non possedere quegli strumenti che permettano se non di vedere, almeno di intuire quanto il male oscuro possa a volte condurre a stati di sofferenza abissali, continuativi e senza possibilità di lenimento.
Si tratta delle cosiddette depressioni maggiori, farmaco resistenti, che prendono possesso di alcune vite snaturandole, causando un progressivo ed irrecuperabile degrado dell’animo umano. Sono assai meno frequenti delle cosiddette depressioni reattive, per le quali è oggi sempre più possibile una risalita verso la luce, ma esistono. Noa ha patito di questo, ma non solo. Noa che tanti stanno giudicando impietosamente, ha provato quello che Lucio Magri si rifiutò di sperimentare, e che David Foster Wallace ha testimoniato:
La persona che ha una così detta “depressione psicotica” e cerca di uccidersi non lo fa (…) perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. Si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme (…) Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme. Eppure nessuno di quelli instrada che guardano in su e urlano “No!” e “Aspetta!” riesce a capire il salto. Dovresti essere stato intrappolato anche tu e aver sentito le fiamme, per capire davvero un terrore molto peggiore di quello della caduta.
L’inferno depressivo dal quale Noa ha chiesto di sfuggire è il tragico traguardo finale di una terrificante discesa in più fasi originata dallo stupro. Noa è stata violentata, due volte, piombando a seguito di ciò nel disturbo post traumatico da stress. Come ho scritto qui, il fenomeno della ri-esperienza è un effetto del trauma, una conseguenza che può riverberarsi per anni ed invalidare ogni momento della vita della vittima sino a renderla una vuota passerella sulla quale le scene dello stupro sfilano ininterrottamente, giorno e notte. Ciò accade quando non si è inizialmente creduti, aiutati o adeguatamente sostenuti.
Lo stupro, specie se in età infantile, non solo viola fisicamente il corpo di un bambino ancora in fase di costruzione, ma può disgregare le fondamenta stessa della crescita e dello sviluppo, divellendo con atti sessuali i tentativi di tessere le basi di una personalità. La ripetizione infinita del momento della violenza, che si nota anche nei reduci di guerra, fa sì che ogni giorno, ogni notte tali scene si ripresentano nella mente della vittima, arrivando a riempire qualsiasi spazio vitale e di pensiero.
La depressione insorge quando nel soggetto si fa strada la certezza che nulla cambierà, che tutti i giorni dell’anno saranno riempiti solo da un unico evento diventato ormai alba e tramonto della quotidianità. L’anoressia, ultima fase della discesa negli inferi, è in questo caso la condizione che riassume e condensa la rassegnazione di un individuo ad aver perso anche solo la speranza di poter portare in parola un evento indicibile. Noa muore dicendo no al cibo e alle bevande, mostrando i segni di un anoressia restrittiva che è, per quanto paradossale possa apparire per chi non conosce la clinica, un tentativo di gestione della sofferenza insostenibile che la violazione del suo corpo ha patito. E’ la modalità con la quale il soggetto si chiude ad ogni possibile interlocuzione con l’altro riducendosi a puro corpo che non domanda più nulla. Dimagrire sino alla soglia dell’inedia è una risposta frequente in molte donne che sono state abusate nell’infanzia.
Sono tanti i mattoni con i quali è stato edificato l’inferno che Noa è stata costretta ad abitare: violenza, dspt, depressione ed anoressia. E’ forse da questo che Noa ha voluto prendere congedo. Questo deve servire da sprone affinché le donne abusate possano trovare da subito un luogo di parola, nel quale esser credute, che permetta loro di poter poggiare sul discorso sociale e sulla fiducia. Se mancano questi requisiti, se la violenza resta non testimoniata ed impunita, la via dell’involuzione, dell’isolamento e della malattia sono un più che probabile punto di caduta.
I pazienti affetti da depressione maggiore, intrattabile, a volte da decine di anni, sono ciò che più mette alla prova chi fa il clinico. Non parlo ex libris, né dalla sola posizione di chi fa questo lavoro da molti anni. Parlo per aver conosciuto sulla mia pelle il dpts e il buio depressivo, causatomi da una devastante analisi fallimentare dalla quale venni estromesso malamente quando il buio iniziava a mostrarsi e a piegarmi. Da quel momento so che quello che un analista deve avere ben chiaro: un clinico sceglie la vita, mai la morte. Per questo la sola possibilità di declinare questa professione è quella di non arretrare mai davanti al buio, certo che la posizione etica non debba mai venire meno di fronte al depresso grave, attraverso la presenza fisica, la voce, la reperibilità, la disponibilità all’ascolto. E’ un’opera di sostegno che non conosce notte né giorno. Un rapporto che non prevede il cedimento, qualunque sia il costo che l’analista paghi per mantenere la posizione.
Ma oltre ad essere un analista, sono un cittadino, e qua sento tutto il male dell’impossibile divisione che ogni giorno avverto. E se come clinico mi è inconcepibile abbandonare la posizione, come uomo vorrei che il legislatore, nel tempo, prendesse atto dello strazio dei viaggi all’estero di chi ha scelto che può bastare così.