“Il Cda non è stato in grado di prendere una decisione a causa dell’auspicio espresso dai rappresentanti dello Stato francese di rinviare il voto ad un consiglio ulteriore”. Questa, in parte, la breve nota diffusa al termine del secondo consiglio di amministrazione di Renault, convocato per proseguire l’analisi della proposta di fusione avanzata da FCA la scorsa settimana.
Non si è fatta attendere la risposta di Torino, che ha ritirato l’offerta presentata al gruppo francese. Questo il comunicato diffuso al termine di una riunione dei vertici del sodalizio italo-americano: “Il Consiglio di Amministrazione di Fiat Chrysler Automobiles riunitosi questa sera sotto la presidenza di John Elkann ha deciso di ritirare con effetto immediato la proposta di fusione avanzata a GroupeRenault. FCA continua ad essere fermamente convinta della stringente logica evolutiva di una proposta che ha ricevuto ampio apprezzamento sin dal momento in cui è stata formulata e la cui struttura e condizioni erano attentamente bilanciati al fine di assicurare sostanziali benefici a tutte le parti. E’ tuttavia divenuto chiaro che non vi sono attualmente in Francia le condizioni politiche perché una simile fusione proceda con successo. FCA esprime la propria sincera gratitudine a Groupe Renault, in particolare alsuo Presidente, al suo Amministratore Delegato ed agli Alliance Partners, Nissan Motor Company e Mitsubishi Motors Corporation, per il loro costruttivo impegno in merito a tutti gli aspetti della proposta di FCA. FCA continuerà a perseguire i propri obiettivi implementando la propria strategia indipendente”.
Il WSJ riporta i retroscena che avrebbero portato al nulla di fatto, ovvero quelle “condizioni politiche” a cui si fa riferimento nella nota: Nissan sarebbe finalmente uscita allo scoperto, intimando ai suoi due rappresentanti nel cda di ritirare l’appoggio alla proposta di fusione. A quel punto sarebbero nate le perplessità del rappresentante dello stato francese, per il quale era imperativo salvaguardare l’alleanza con i giapponesi. Di qui l’impasse che ha fatto saltare il banco, annullando in sostanza l’effetto positivo dell’intesa trovata in precedenza tra Parigi e Torino, a cui doveva far seguito l’opera di persuasione di Renault nei confronti dell’alleato giapponese, che evidentemente non è andata a buon fine.
Del resto l’aria che tirava si era capita dalle dichiarazioni di ieri dello stesso ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, che frenava forse proprio perché conscio delle difficoltà: “Prendiamo il tempo di fare le cose per bene: è un’operazione di grande portata, che punta a creare un campione mondiale dell’auto: nessuna precipitazione”. Anche se era chiaro che la proposta di FCA rappresentasse un crocevia storico per Renault: “Questo progetto di fusione è, l’ho sempre detto, un’opportunità, perché permette di consolidare il paesaggio automobilistico mondiale e creare un campione europeo globale, guadagnando i necessari margini di manovra per finanziare le auto elettriche e i veicoli autonomi”, aveva ribadito Le Maire.
Oltre al nodo della sede operativa a Parigi, restava sul tavolo quello occupazionale, come ricordato sempre dal ministro transalpino: “Servono garanzie sui siti industriali. Io mi metto al posto dei dipendenti che ci ascoltano, magari dagli stabilimenti industriali di Renault a Sandouville o dai centri di ricerca a Cléon o altrove, si chiederanno, ‘qual è il nostro avvenire?’. Il mio ruolo, come azionista di riferimento, è garantire a questi dipendenti e ai francesi che i siti industriali verranno tutelati”.
Alla domanda su un ipotetico rischio di tagli ai posti di lavoro in Francia, il ministro aveva assicurato su come l’argomento fosse in discussione: “Se potessi mantenere questo impegno, la fusione sarebbe già stata registrata. Lo stato sta osservando con fermezza gli interessi industriali di Renault e gli interessi industriali della Francia. Vogliamo fare questa fusione, ma non lo faremo a ogni condizione”. Inoltre, tra le (tante) richieste a FCA elencate da Le Maire, c’era pure che la fusione rientrasse nel quadro della storica alleanza Renault-Nissan e che la futura entità industriale partecipasse alla filiera di batterie elettriche promossa di recente dai governi di Parigi e Berlino.
Le operazioni erano state seguite anche da Roma che, tuttavia, aveva mantenuto una posizione attendista sulla vicenda: “Il nostro governo è aperto agli investimenti, a patto che portino impatti positivi in termini di crescita economica e dell’occupazione nel nostro paese e per i nostri cittadini”, aveva detto il sottosegretario dello Sviluppo economico, Michele Geraci, spiegando però che l’esecutivo non ha in programma di comprare quote di Fca nel breve periodo.
“L’azienda è naturalmente libera di agire nell’interesse dei suoi azionisti e come governo ci assicuriamo che ci sia un impatto positivo sull’incremento della produzione e sulla creazione di lavoro”, aveva spiegato Geraci, ribadendo che “FCA fa l’interesse degli azionisti e il governo si occupa dell’impatto a livello macro”. Pertanto, in merito al matrimonio con Renault “la decisione spetta agli azionisti dell’azienda”, cioè a FCA. Insomma, non era chiaro se il governo volesse far parte della partita o meno: ma, col passare delle ore, le possibilità di intervento dell’Esecutivo sul tavolo delle trattative fra i due colossi dell’auto si era ridotto esponenzialmente.
Problema peraltro evidenziato anche dai sindacati: “Il governo italiano non può non avere una discussione con un altro governo, quello francese: mi sembra che sia in atto un isolamento di questo Paese nel ridisegno dei poteri dell’Europa, e nei poteri economici delle grandi filiere industriali, quindi non ci siamo”, aveva affermato il vicesegretario nazionale della Cgil, Vincenzo Colla, parlando della fusione Fca-Renault. “Quell’operazione modifica l’assetto industriale del nostro Paese in positivo o in negativo, non è che critichiamo ‘a prescindere’: ma il come si uscirà dalla filiera dell’automotive incide sulla storia futura manifatturiera di questo paese, perché lì ci sono le grandi filiere di cambiamento. Renault ha la filiera elettrica, la Fiat è molto in ritardo: capire le economie di scala positive nel nostro Paese vuol dire che lì dietro ci sono migliaia e migliaia di posti di lavoro”.
In serata, però, era arrivata anche la replica d’ufficio del Movimento 5 Stelle alle posizioni francesi: “Grave l’affermazione attribuita al ministero francese che pretenderebbe la sede a Parigi e dividendi straordinari. Questi toni non sono adeguati”, avevano detto Jessica Costanzo, deputata M5S e i gruppi consiliari M5S del Piemonte e di Torino: “Il governo francese sembra sul piede di guerra per quella che è un’operazione che deve tener conto degli interessi dei lavoratori italiani e del nostro Paese. Ricordiamo che la proprietà Fca dovrebbe ascoltare il governo prima di procedere in operazioni così grandi, anche in considerazione che Fca (originata dalla fusione di Fiat e Chrysler) ha beneficiato per decenni di cospicui aiuti statali. Il governo sta osservando con attenzione il susseguirsi degli eventi e noi siamo pronti a far valere i diritti e gli interessi del nostro Paese e di questo territorio proponendo l’istituzione di un tavolo di coordinamento con i governi italiano e francese insieme alle due aziende per analizzare ogni aspetto dell’operazione, con particolare attenzione alle esigenze dei lavoratori”. Parole tardive che, ad accordo saltato, sono ormai anche inutili.