Il presidente dell'associazione che riunisce le concessionarie autostradali ed ex presidente Unicredit contesta la norma inserita nello Sblocca cantieri per "salvare" dalla contestazione di danno erariale i dirigenti che firmeranno un eventuale decreto di revoca a patto che ci sia l'ok preventivo della Corte dei Conti. "Fa venire meno la certezza del diritto e indebolisce la terzietà della pubblica amministrazione"
Fabrizio Palenzona, presidente dell’associazione che riunisce le concessionarie autostradali (Aiscat), dalle pagine del Sole 24 Ore attacca la norma inserita nel decreto Sblocca cantieri per “proteggere” dalla contestazione di danno erariale i funzionari pubblici che firmano un’eventuale cessazione anticipata delle concessioni. Ovvero quello che il governo gialloverde promette dallo scorso agosto, quando a Genova crollò il Ponte Morandi la cui gestione era (ed è) affidata ad Autostrade per l’Italia del gruppo Atlantia.
Nella versione approvata giovedì dal Senato la norma prevede un vaglio preventivo del decreto di revoca da parte della Corte dei Conti: se il parere sarà positivo il funzionario o dirigente del ministero dei Trasporti che mette la firma godrà di uno scudo contabile, nel senso che non rischierà di essere chiamato in causa per colpa grave. Secondo l’ex presidente di Unicredit (ha dato le dimissioni a fine 2017 dopo essere stato coinvolto nel caso Bulgarella che l’ha visto indagato dalla Procura di Firenze) l’unico effetto “rischia di essere quello di allontanare gli investitori internazionali dall’Italia e dal settore delle infrastrutture”.
“E’ arrivato il momento di far sentire la voce delle aziende concessionarie”, scrive nel suo intervento. “Si dirà: ma queste aziende sono parte in causa! Certo, lo sono. E chi mai lo negherebbe? Ma lo sono alla luce del sole, e dunque i loro argomenti meritano di essere considerati nel merito e non accantonati in via pregiudiziale.
Ecco quello che penso. Eliminare la colpa grave, e dunque la responsabilità erariale, dei dirigenti pubblici chiamati a firmare questo genere di atti, fa venire meno la certezza del diritto nel vasto mondo delle concessioni. Lo hanno già testimoniato autorevoli giuristi“.
“Assegnare alla Corte dei conti la funzione di vistare e registrare la revoca della concessione non migliora le cose”, sostiene Palenzona. “Non si chiarisce, infatti, se vistare e registrare siano atti dovuti o discrezionali e se riguardino le procedure o anche il merito della decisione. E non è nemmeno chiaro se la suprema magistratura contabile debba vistare e registrare l’ atto nel suo complesso ovvero se possa limitarsi a una parte. E ancora, questo “scudo” non sembrerebbe così efficace perché non copre tutte le ipotesi di responsabilità dei funzionari non diligenti”. Inoltre “nel prevedere la colpa grave a carico del pubblico funzionario, il legislatore intende attribuire alla pubblica amministrazione il potere di non dare seguito a una decisione politica quando questa contraddica la legge nel merito e/o nelle procedure. Un tale potere si giustifica con la terzietà della pubblica amministrazione nell’ordinamento del Paese. Abolire questo potere nei fatti, e su materie così delicate, indebolisce in modo surrettizio la terzietà della pubblica amministrazione“.
Il numero uno della lobby dei concessionari è convinto che con la nuova norma “verrebbe messo in discussione l’intero sistema delle concessioni, oggi per le autostrade, domani per tutte le altre infrastrutture. Quando uscì la prima notizia delle intenzioni del governo, mi trovavo al meeting mondiale dei concessionari autostradali, al quale partecipano anche i grandi gestori del risparmio internazionale e le agenzie di rating. In quel consesso l’ Italia gode di una solida reputazione. Il mondo sta scoprendo che lo strumento della concessione è spesso più efficiente della leva fiscale per finanziare le infrastrutture. La copertura degli investimenti è meno distorsiva se viene dall’utilizzatore finale invece che dal contribuente”. Questa norma “si muove in direzione opposta: il suo unico effetto rischia di essere quello di allontanare gli investitori internazionali dall’Italia e dal settore delle infrastrutture. Fermiamoci dunque, e ragioniamo, finché siamo in tempo per evitarlo”.