Moltiplicando il numero di addendi, il risultato non cambia. Quello che non può succedere nella matematica spicciola è diventato un alto ragionamento di politica industriale sulla sponda più silenziosa e corteggiata della fusione Renault-Fca. Nissan ha parlato poco il 27 maggio, giorno della grande proposta di Torino a Parigi: si è detta interessata ad incontrare John Elkann come effettivamente ha incontrato il ceo francese Jean-Dominique Senard, Ceo del marchio della Losanga.

Poi ha reagito. Ha scelto la notte europea del 3 giugno, quella che precedeva il consiglio di amministrazione Renault convocato per dare il via libera ufficiale al progetto, e ha affidato al suo amministratore delegato Hiroto Saikawa (nella foto) una dichiarazione che rimarrà nella storia industriale giapponese. “La proposta attualmente in discussione tra FCA e Renault è una fusione completa che, se realizzata, altererebbe significativamente la struttura del nostro partner Renault. Ciò richiederebbe una revisione fondamentale della relazione esistente tra Nissan e Renault. Dal punto di vista della protezione degli interessi di Nissan, prenderemo in considerazione i suoi rapporti contrattuali esistenti e il modo in cui dovremmo operare in futuro”. Salvo poi aggiungere ai microfoni di Bloomberg, dopo il gran rifiuto, che “è difficile dire” se il fatto che la proposta di Fiat Chrysler Automobiles a Renault sia saltata sia una cosa buona o cattiva per Nissan, ma “ci stavamo approcciando positivamente”. Aggiungendo che “c’è stata una possibilità di espandere le opportunità” per l’alleanza che comprende anche Mitsubishi, oltre che Nissan e Renault. Possibilità che forse un giorno ci sarà dato di conoscere.

Ma la scelta chirurgica nei tempi è stata quella della prima dichiarazione. La partita si è chiusa qui, già prima di cominciare. Prima che si aprissero le porte della sala riunioni nella sede storica Renault di Boulogne-Billancourt, Nissan ha sbarrato la strada all’inclusione automatica del marchio giapponese nella nuova società, e suggerito casomai la nascita di un rapporto esterno tutto da definire, ma ancora una volta come alleato, e con condizioni contrattuali meno favorevoli delle attuali.

La formalità poi racconta delle indiscrezioni raccolte da sempre da Bloomberg e Wsj, secondo cui i due rappresentanti di Nissan nel consiglio di amministrazione di Renault avrebbero ritirato l’appoggio alla proposta di fusione. La realtà è stata invece quella dell’innesco di un detonatore. Costretto dall’opinione pubblica ad impegnarsi e rappresentare in modo forse parossitico gli interessi nazionali nell’operazione, il Governo francese ha dovuto prendere atto della relativa consistenza industriale della nascente FCA-Renault, e piuttosto della sua dipendenza netta dal partner giapponese, dal suo bagaglio di tecnologie e brevetti, necessari per sostenere le sfide dell’elettrificazione e del rinnovamento delle gamme dei prodotti con nuove piattaforme meccaniche.

Erano questi i veri asset per garantirsi fatturato, valorizzazione della quota Renault in mano allo Stato e livelli occupazionali. Aggiungere Fca a Renault avrebbe significato invece moltiplicare solo il numero di addendi senza modificare il risultato. Che comunque è arrivato. Il Governo transalpino ha sconfessato senza dirlo apertamente di fatto l’autonomia tecnologica di Renault proprio mentre le ragioni della politica lo costringevano ad imporre quel ruolo forte nella nuova azienda, proprio ciò che rappresentava l’ostacolo insormontabile alla partecipazione dell’alleato giapponese alla fusione.

Un imbuto perfetto, con le nuove sfide che si aggiungevano a vecchie ruggini, anche vistose. A cominciare dall’arresto di Carlos Ghosn, presidente della Nissan e dell’alleanza Nissan-Renault-Mitsubishi il 19 novembre scorso in Giappone, che nasceva nella forma per l’accusa di violazioni alla legge fiscale, ma nella sostanza seguiva poco casualmente la volontà dello stesso Ghosn di procedere ad una fusione tra Nissan e Renault. Una direzione che in Giappone non hanno mai nascosto di ritenere inammissibile per questioni di interessi nazionali, orgoglio, e storia.

Ed è proprio questo grande rifiuto Nissan a chiudere quell’era Ghosn fatta di rapporti molto ravvicinati con i molti inquilini che si sono avvicendati all’Eliseo, di precedenze e opportunità ad investimenti che garantissero equilibri geopolitici a favore della Francia, perfino di un calendario di lancio di nuovi modelli pesantemente condizionato dalla prelazione Renault su certi mercati.

E poi la questione sul nuovo fronte commerciale di sviluppo della Régie in Africa, mai condiviso con i partner giapponesi. Soprattutto, il peso di quei 5 miliardi di euro che nel 1999 consentirono a Renault di costituire l’alleanza finanziando le casse di una Nissan ricca di tecnologia ma in difficoltà finanziaria. Al prezzo poi di costruire una struttura societaria in cui l’azienda di Yokohama si è sempre ritenuta in posizione di sudditanza, e non solo psicologica. E’ un fatto che Renault detiene, con pieni diritti di voto, il 43% della Nissan e quest’ultima possiede il 15% di Renault ma senza alcun diritto di voto. Evidentemente, 20 anni di convivenza lo hanno trasformato in un un irriducibile veto.

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