Nella giornata mondiale, Francesca Santoro della Unesco Intergovernmental Ocean Commission spiega che il mare ha immagazzinato il calore derivante dai gas serra, facendo da tampone. Ma ora è necessario ridurre le emissioni. "Abbiamo raggiunto un livello in cui l’oceano si è acidificato, con conseguenze gravi per altri organismi"
“La plastica? Certo che è un problema, ma oggi il mare soffre soprattutto di una serie di problematiche legate al cambiamento climatico che tutti dovrebbero conoscere”. Francesca Santoro, fisica, lavora per la Unesco Intergovernmental Ocean Commission, ed è anche un’esperta di “Ocean Literacy”, letteralmente “alfabetizzazione sul mare”, cioè comunicazione delle questioni che riguardano il mare. Nella Giornata Mondiale dell’Oceano, oggi 8 giugno, ci ricorda l’importanza del mare per la vita. “Lo sa che un respiro su due che noi facciamo dipende dal mare perché i nostri oceani forniscono all’incirca la metà dell’ossigeno che respiriamo?” – e spiega quali sono le sofferenze degli oceani, anzi di quello che lei chiama l’unico grande oceano globale: “L’effetto tampone svolto dagli oceani, che hanno assorbito in questi decenni l’anidride carbonica in eccesso, sta venendo meno. Abbiamo raggiunto un livello in cui l’oceano si è acidificato, con conseguenze gravi sugli organismi a conchiglia che usano il carbonato di calcio per svilupparsi, ma anche le barriere coralline”.
Il riscaldamento equivale a innalzamento – Anche Simona Masina, fisica che dirige la “Divisione sulle previsioni Oceaniche e Data assimilation” del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, mette l’attenzione sulle conseguenze dell’assorbimento della CO2 da parte del mare. “Gli oceani hanno immagazzinato gran parte dell’eccesso di calore derivante dai gas serra, in pratica hanno funzionato da spugna, in qualche modo preservandoci”. Questa funzione preziosa ha però prodotto un riscaldamento delle acque sul quale ormai c’è unanimità da parte degli studiosi. “Gli oceani”, continua Masina, “si stanno scaldando non solo nella parte superficiale, ma anche in quella profonda (la profondità media è di 3.700 metri). Riscaldandosi, però, l’acqua aumenta di volume ed è per questo che il livello dei mari si va innalzando di 3 millimetri all’anno di media, in alcune zone anche fino a un centimetro”.
Se anche il mare soffre di ondate di calore – Il processo di innalzamento delle acque aumenta anche a causa dello scioglimento dei ghiacci continentali (Groenlandia e Antartide). “Si stima che un terzo dell’aumento del livello del mare sia dovuto all’immissione di acqua dolce dai ghiacciai e dalle calotte polari, scioglimento che produce a sua volta un ulteriore effetto riscaldante, perché la superficie dei ghiacci rifletteva la radiazione solare”, continua Masina. Gli scenari dell’Ipcc (Intergovernmentale Panel on Climate Change) prevedono un aumento del livello del mare nel 2010 dai 30 agli 80 centimetri, “ma probabilmente si tratta di un aumento sottostimato”. Anche il mare, come la terra, soffre poi del problema delle ondate di calore, ovvero quei giorni in cui la temperatura delle acque è molto elevata. Secondo un articolo uscito a marzo sulla “Natura Climate Change”, nel trentennio 1987-2016 il numero di giorni caratterizzati dalle ondate di calore marine è aumentato del 54% rispetto al trentennio 1925-1954, con un effetto importante sulla fauna ittica oltre che sulla flora, in particolare quella algacea, che contribuisce all’assorbimento della CO2.
Previsioni perfette per ridurre le emissioni – Ma di fronte a queste drammatiche evidenze, cosa si può fare per difendere i nostri mari e le nostre coste? “Oltre a ridurre le emissioni, servono azioni di adattamento”, spiega Giovanni Coppini, direttore della Divisione” Ocean Predictions and Applications” del CMCC e che realizza applicazioni basate su previsioni oceanografiche. “Lavoro in un gruppo di ricerca che fa previsioni del mare, utilizzando dei modelli oceanografici che traducono le leggi della fisica in equazioni numeriche, per prevedere, appunto, quali saranno le condizioni del mare nelle prossime ore e giorni (onde, correnti, temperature)”. L’attività è sviluppata nell’ambito del servizio “The Copernicus Marine Environment Monitoring Service”, responsabile delle previsioni del Mar Mediterraneo e del Mar Nero, utilizzate da migliaia di persone in vari settori, dall’economia marittima al turismo, dall’acquacoltura ai porti. Per l’acquacoltura, in particolare, le previsioni sono molto importanti perché consentono lo spostamento degli allevamenti in caso di ondate di calore in arrivo. “Il collegamento con il clima è presto fatto, se si pensa che in questo modo carghi e traghetti, ad esempio, ottimizzano le rotte, utilizzando quelle calcolate con i nostri sistemi, che consumano e inquinano meno. Un obiettivo importante, visto che l’International Maritime Organization ha fissato dei target di riduzione delle emissioni nel trasporto marino per il 2050. E poi c’è la funzione di allerta degli eventi estremi costieri, come le mareggiate, “che veicoliamo attraverso Protezione civile e le Agenzie per l’ambiente regionale, Ispra e Guardia Costiera”.
Ricostruzione delle dune e riforestazione marina, tutte le azioni di adattamento – Ma le azioni di adattamento e contrasto ai cambiamenti vengono soprattutto dalle cosiddette “natural based solution”, che per il mare vuole dire soprattutto ricostruzione delle dune costiere, un’azione che aiuta a prevenire l’erosione costiera, dovuta anche alla costruzione di porti e allo scarso apporto di sedimenti dai fiumi. Oppure “soluzioni ecologico-ambientali come la tutela e il reimpianto della Posidonia oceanica in mare”, spiega Coppini, “una pianta che rende quest’ultimo più efficiente nella produzione di ossigeno e nell’assorbimento della anidride carbonica”.
E la plastica? È un problema reale? “Certamente sì”, risponde l’esperto, “visto che la plastica è un materiale utilizzato per pochi minuti che però resta nell’ambiente. Una questione urgente, ad esempio, è quella dello smaltimento delle plastiche usate in agricoltura per proteggere i campi, che spesso finiscono in mare o nei fiumi”. Anche se non esistono isole di plastica nel Mediterraneo, il fatto che sia un mare chiuso fa sì che la plastica interagisca più con la costa. “La legislazione”, continua Coppini, “ha fatto salti da gigante, pensiamo al divieto dal 2021 della plastica monouso o a regioni come la Puglia che l’hanno bandita in spiaggia, ma bisognerebbe fare una raccolta sistematica e costante, magari anche con tecnologie avanzate come i robot”.
Investire sulla ricerca oceanografica – L’ultimo aspetto su cui gli esperti mettono l’accento è l’importanza di implementare la ricerca oceanografica. Perché il mare, in verità, è ancora largamente inesplorato. “Sa che è stato mappato solo il 5% del fondale e che pare ci siano un milione di specie che non abbiamo ancora scoperto?”, spiega Francesca Santoro. “Ma la ricerca costa, una nave oceanografica può costare 30.000 euro al giorno, i satelliti aiutano, ma bisogna fare i campionamenti e le analisi. Ci sono sono paesi, poi, che non se lo possono permettere”. Un altro fronte su cui si sta lavorando è anche quello della regolamentazione delle zone del mare, tutto ciò che va oltre la giurisdizione delle singole nazioni, per evitare fenomeni di sfruttamento come quello dei minerali marini (il cosiddetto deep sea mining). “Il Parlamento Europeo ha fatto una moratoria contro questa pratica e a New York stanno negoziando una parte della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare”, spiega Santoro. Infine, tutti noi possiamo fare la nostra parte: “Informarci, informare gli altri, ridurre l’uso di plastica monouso e pure essere consapevoli dei prodotti del mare che mangiamo: anche per il pesce esistono le stagioni, proprio come le verdure”, conclude Santoro, E ci sono anche delle app – come questa – che aiutano a capire come orientarsi quando si va al mercato. Scegliendo questo prezioso alimento non solo in base alle proprie esigenze, ma anche a quelle del mare.