di Riccardo Realfonzo*
La Commissione europea minaccia una procedura di infrazione contro l’Italia per il mancato rispetto della regola del debito. Una regola assurda e irrealizzabile – non solo per l’Italia – secondo la quale sostanzialmente il debito pubblico andrebbe abbattuto ogni anno mediamente in ragione di un ventesimo della differenza tra il valore attuale del debito e l’obiettivo del 60% del Pil. Un obiettivo, come sanno gli addetti ai lavori, che non ha alcun fondamento scientifico perché nessuno mai ha dimostrato, o potrà mai dimostrare, che il 60% rappresenta un numero preferibile al 50% o al 70%. Abbattere a quel ritmo il debito al 60% del Pil significherebbe per l’Italia sperimentare almeno due decenni di politiche di lacrime e sangue, che produrrebbero la desertificazione economica e sociale del Paese.
D’altronde, sui danni dei consolidamenti fiscali, tanto amati dalla Commissione europea, abbiamo ormai una grande evidenza empirica. La Grecia è il migliore esempio di quanto possano essere disastrose le politiche di taglio indiscriminato della spesa pubblica e di aumento della pressione fiscale. Ma anche l’Italia è un esempio eccellente. Pochi ricordano, infatti, che il nostro Paese detiene il record europeo in fatto di politiche di austerità, avendo realizzato sempre manovre di bilancio in avanzo primario, dal 1990 a oggi (con la sola eccezione del 2009). Ciò significa che tutte le manovre hanno chiuso i conti con un raccolta fiscale più grande della spesa pubblica al netto degli interessi. Si badi bene che nello stesso periodo in Francia ben 22 manovre si sono chiuse con disavanzi primari, 21 in Gran Bretagna e 10 in Germania. Ebbene, il risultato di tutte le politiche restrittive nostrane è stato tragico: l’Italia sta conoscendo un lungo declino, deve ancora recuperare i valori della produzione di fine 2007 (siamo sotto ancora del 4%), e le condizioni della finanza pubblica continuano a peggiorare.
Oggi la Commissione chiede nuove riduzioni della spesa pubblica primaria netta, ma il punto è che la spesa pubblica italiana è già bassa. Il dato della spesa pubblica italiana per cittadino è infatti solo il 74% del dato tedesco, appena il 67% di quello francese e il 93% della media dell’Eurozona. E tuttavia la “raccomandazione” della Commissione europea vede giusto su alcuni aspetti drammatici della condizione economica italiana. Ci sono infatti molte ragioni per pensare che il prodotto interno lordo italiano nel 2019 crescerà solo di uno o due decimi di Pil (come si legge d’altronde nel Def). In assenza di crescita, il rapporto tra debito e Pil proseguirà la sua corsa, arrivando con ogni probabilità a sfiorare il 133%.
Questi dati confermano – al netto delle dinamiche congiunturali che con minore violenza hanno investito anche il resto d’Europa e persino l’industria tedesca – che la manovra del governo per il 2019 è stata errata per le ragioni tante volte esplicitate su economiaepolitica.it. Il governo ha infatti incrementato il deficit rispetto al suo andamento tendenziale, ma ha utilizzato male le risorse in tal modo liberatesi, destinandole essenzialmente a misure che avevano anche un contenuto di rilievo sociale ma con ben scarso impatto sulla crescita. Le stime di cui disponiamo hanno mostrato che a parità di risorse una manovra improntata sul rilancio degli investimenti pubblici avrebbe avuto una efficacia almeno doppia in termini di crescita economica.
L’economia italiana attraversa dunque una fase estremamente delicata. La crescita sembra un miraggio e le finanze pubbliche destano preoccupazione, non solo e non tanto per la minaccia della procedura di infrazione, quanto per la percezione che i mercati hanno di una difficoltà dello Stato a onorare in euro il debito pubblico che viene in scadenza, con conseguenti effetti sugli oneri del debito. Una situazione così grave richiede una politica all’altezza dei problemi. Il che significa che la prossima manovra economica dovrebbe contenere una duplice discontinuità per riportare il Paese su un sentiero di crescita.
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*Professore ordinario all’Università del Sannio e Direttore di economiaepolitica.it