Tra le tante categorie in cui si può dividere l’umanità – mare vs montagna, dolce vs salata, mattinieri vs animali notturni – il derby più agguerrito è tra amanti dei cani e amanti dei gatti. Lettura imprescindibile per questi ultimi è Gattolico praticante, Esercizi di devozione felina (ed. Garzanti, 128 pagine) di Alberto Mattioli, giornalista, scrittore e genitore adottivo della micia Isolde. Lettura consigliatissima anche ai primi, ai cane-muniti, non fosse altro che per la penna brillante di Mattioli, che fa un elogio del gatto colto e raffinato, a uso e consumo dei loro padroni. Pardon, coinquilini.
Dopo una monografia su Pavarotti e un libro su Giuseppe Verdi (Meno grigi, più Verdi) Mattioli torna in libreria con una lunga lettera d’amore alla tigre da salotto, completa di dizionario minimo e postfazione firmata da Isolde. “La sua superiorità è talmente evidente – scrive l’autore – che non ci sarebbe bisogno di dimostrarla”. Tuttavia ci riesce benissimo, partendo dal principio, cioè da quando il gatto fu reclutato (ammesso che si possa mai imporre al gatto di fare qualcosa) per custodire i granai e mangiare i topi. Mentre il cane e il cavallo sono gli animali della nobiltà, utili per l’arte della guerra e della caccia, “il gatto come animale domestico è stato inventato dalla borghesia”. Animale da contemplazione, da riflessione, da accarezzare ponderando i destini del mondo, il gatto s’è subito appropriato del luogo simbolo della borghesia: il salotto. Che è il luogo perfetto per fare ciò che gli riesce meglio: nulla. “Borghese anarchico”, la tigre da salotto fa quello che vuole e solo quando vuole lui, come sa bene chiunque che ne abbia uno in casa.
Ci sono molte buone ragioni per prendere un gatto, almeno cinquanta, secondo l’autore. No, non è vero che si affezionano alla casa e no, non torneranno solo per mangiare. Una pausa-gatto, consiglia Mattioli, è un toccasana per tutti, ma ancor di più per i politici, che dalla razza felina potrebbero imparare due o tre cose. Virtù politiche feline sono l’assoluta indipendenza, il pragmatismo e la strategia, la totale assenza di sentimentalismi e una certa dose di cinismo – ci perdoneranno classicisti e gattofili per il bisticcio etimologico, visto che la parola “cinico” viene dal greco kyon, cane. Non a caso, tra le fila dei gattolici ferventi ci sono anche Churchill, Lincoln e Roosvelt. Fu gattolico (con la g) il profeta Maometto, ma anche una nutrita schiera di Papi, vescovi, cardinali, non ultimo Richelieu. Credenti e praticanti anche Leonardo da Vinci, il poeta Baudelaire e la scrittrice francese Colette.
Seguendo l’oscillante movimento di coda, Mattioli porta il lettore da Venezia a Gerusalemme, nei cimiteri di Parigi e tra le rovine romane, con “i gattoni stravaccati sui capitelli”. Il gatto ha attraversato a passo felpato millenni di storia, dagli egizi all’Annunciazione di Lorenzo Lotto. E ben prima del musical Cats, già c’era stato un duetto miagolato, firmato da Rossini. Se è vero poi che i gatti conquisteranno il mondo, come recita il titolo di una popolare pagina Facebook, tanto vale cominciare da quello virtuale: tra meme, gif e video, i gattini sono l’acchiappa-like per eccellenza, la summa etica ed estetica dei social network.
Al gatto, conclude Mattioli, bisogna quindi approcciarsi con la devozione del fedele o dell’amante non corrisposto: senza pretendere spiegazioni o segni di affetto, ma attendendo il momento in cui si lascerà accarezzare. C’è un motivo ben preciso se il micio riduce a brandelli tende e cuscini, solo che non si prende la briga di spiegarvelo. E pazienza se verrete svegliati alle quattro del mattino a colpi di zampina, o se la piccola tigre deciderà di vomitare sul tappeto il giorno in cui aspettate ospiti. Parafrasando Pascal, il gatto ha delle ragioni che l’umano non conosce.