Noa, la 17enne olandese che si è lasciata morire di fame e sete in circostanze ancora poco chiare, aveva in passato ricevuto alcuni trattamenti sanitari obbligatori che sono una forma estrema di medicalizzazione. Eventi traumatici per tutti coloro che ne sono sottoposti. Compresi i familiari che assistono alla violenta presa in carico. Sono trattamenti che nel caso di Noa, che aveva sviluppato una forma di anoressia, sono arrivati al coma farmacologico per nutrirla attraverso un sondino. Traumi su traumi per una ragazza che aveva subito più volte in giovanissima età l’insopportabile violenza dello stupro.
Il dottor Giovanni Rossi, psichiatra già direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Mantova, dalle molteplici esperienze tanto da definirsi un attivista per la Salute Mentale, ha appena pubblicato per i tipi dell’Editoriale Sometti un volume, una sorta di prontuario (o ricettario, come lo definisce lui), intitolato Due o tre cose che so di Lei. Lei è la Salute Mentale. E ne parla anche in relazione ai media. Come cioè l’informazione si muove su casi di salute, che potremmo definire epidemici, relegati ormai solo ad argomenti da dibattito come eutanasia, sicurezza, violenza. Mai un accenno alla condizione esistenziale del malato di mente, al reale significato della fragilità mentale. E infatti la disinformazione, e lo stigma associato ad essa che vede nel matto esclusivamente una vittima o un carnefice, si muove attraverso la superficialità di chi non si riferisce direttamente alle fonti (medici, familiari, associazioni, utenti stessi).
Di là dalla totale indifferenza a livello mediatico per il vasto problema della salute mentale – che detto per inciso è destinato a mutare radicalmente i paradigmi della vita sociale, dal lavoro alle relazioni interpersonali – Rossi rileva una radice nelle parole stesse utilizzate nel linguaggio comune che ha portato a stigmatizzare la condizione dei malati. Schizofrenico, bipolare, paranoico fanno parte del lessico da dibattito televisivo per offendere la controparte; ma non si tratta di rispettare il politicamente corretto, è semplicemente questione di utilizzare dei termini medici ignorandone il significato e mistificandolo.
Altro problema attuale riportato nel libro di Giovanni Rossi: nella ricostruzione della storia della psichiatria ricorda che la conquista della democrazia avviene con la legge Basaglia, che ha permesso di chiudere luoghi di privazione della libertà. Eppure è stata rimessa politicamente in discussione, suscitando prese di posizione popolari soprattutto sui social. Per alcuni quella del matto è una delle categorie che mettono a rischio la sicurezza individuale. Altri sostengono che riaprire i manicomi solleverebbe le famiglie dal dolore dell’essere state lasciate sole con i loro figli malati, gravate da una solitudine e dall’incapacità di porre rimedio a malattie che spesso remissioni non hanno. Ma chiedete alle famiglie, ai genitori, per quanto affaticati, se preferirebbero vedere i propri figli in una corsia d’ospedale a vita o se preferiscono il tentativo di reinserirli nella società attraverso le terapie offerte dai Centri di Salute Mentale, dalle attività educative dei centri diurni, dall’abitare condiviso con altri pazienti, dalle attività sportive e ricreative delle associazioni.
E Noa in tutto questo come ci ritorna? Noa aveva deciso di esporsi pubblicamente scrivendo un libro per spiegare la sua condizione. Ma ciò che ha fatto discutere non è stato il messaggio contenuto nel suo libro, ma il caos mediatico che ancora continua fra discussioni fra eutanasia e suicidio. E i matti, stelle inosservate, stanno a guardare.