Scuola

Treviso, il preside dice no agli shorts e scatena un putiferio. È rispetto o preistoria?

“Si esortano alunni e docenti, che sono invitati a dare il buon esempio, a indossare un abbigliamento consono e rispettoso del comune decoro, niente pantaloncini corti durante tutto il periodo delle attività, didattiche e non, previste nei locali scolastici”. Stefano Marconato, preside dell’Istituto comprensivo di Resana, Comune trevigiano alle porte di Castelfranco, lo ha messo per iscritto. Basta con i solleciti verbali. Constata l’inutilità dei suoi inviti, è passato a notificarlo con una circolare. A scuola non si può andare come capita. Non si può andare con abiti inadatti al luogo. Regola valida per gli studenti, ovviamente. Ma anche per gli insegnanti, naturalmente. Perché lo si insegna anche durante l’anno nelle classi, continuamente. Le regole non ammettono deroghe. Esistono e vanno rispettate. Si chiama democrazia. Ognuno ha diritto alle sue libertà. Ma perché ciò accada è necessario che l’esercizio di quelle libertà non costituisca una limitazione delle libertà di qualcuno. Non finiscano per offendere in qualche modo qualcun altro.

La circolare del preside ha scatenato un putiferio. Creando due squadre, anzi due tifoserie da curva. Agguerrite e cordialmente nemiche. “Si tratta semplicemente di una questione di rispetto, la scuola è sempre un’istituzione”, ha detto la mamma di uno degli alunni interessati dall’atto del dirigente scolastico. “È ritornata la preistoria“, ha commentato Loris Mazzorato, ex sindaco del Comune, sostenuto da un altro genitore per il quale non esistono giustificazioni. Quel divieto “è una vergogna, vietare anche gli short fino al ginocchio è da dittatura”.

Appena la temperatura inizia a salire è quasi ovunque così, a scuola. Le maniche corte fanno il paio con pantaloncini e short. Tanti modelli, diversi i materiali. Le scuole si riempiono di ragazzi e ragazze pronti a prendere la via di mare e piscine piuttosto che di alunni e alunne intenti a seguire lezioni nelle classi; oppure a passeggiare nei corridoi, nella ricreazione. Qualche insegnante prova a dire qualcosa, ma si tratta di casi isolati. Quasi di iniziative personali. Anche per questo destinate a fallire. Come potrebbe essere altrimenti? Con la gran parte delle famiglie pronta a gridare alla preistoria e la quasi totalità dei Dirigenti scolastici che osserva senza intervenire, sapendo che la questione è spinosa.

Così, con un crescendo che solo il termine delle lezioni riesce a interrompere, la vita scolastica procede. Fino a quando un Preside non decide di esercitare la sua autorità per ristabilire l’ordine. Già, l’ordine! Quello che deve esistere anche nella scuola perché possa continuare a svolgere un seppur minimo ruolo nella società. L’ordine tra le “cose” che si possono fare e quelle che invece non è ammissibile fare. Tra gli atteggiamenti che si possono avere e quelli non accettabili. Tra gli abbigliamenti consentiti e quelli che non lo sono.

Senza il rispetto di questo ordine la scuola rischia di tramutarsi sostanzialmente in una sala di attesa. Un luogo nel quale si trascorre del tempo, sostanzialmente senza costrutto. Insomma, inutilmente. Una lunga attesa che amplifica il vuoto piuttosto che attenuarlo. Pensare che il divieto a scuola ad abiti da relax estivo sia una sciocchezza equivale a negare il ruolo della scuola.

Tra una discussione e l’altra l’anno scolastico è terminato. Quindi ognuno a Resana potrà fare quel che crede. Vestirsi come vuole. Quasi tutti lo potranno fare. Per gli alunni di terza media, ammessi, ci saranno gli esami. Prima gli scritti e poi gli orali. Per loro, nonostante il caldo, solo pantaloni lunghi. Come impone la circolare del preside. Ma anche come suggerisce l’educazione. Purtroppo dimenticata.